27 febbraio 2014

LE PAROLE DI UN “UOMO LIBERO”.

Ecco alcune affermazioni di Bernanos su se stesso. Non parole blabla, ma la condivisione di un vissuto, di un’esperienza artistica, umana e spirituale che può dilatare i nostri orizzonti, troppo spesso rimpiccioliti a misura… di smartphone; attraverso la “tavoletta” più o meno sofisticata e superaccessoriata, che stringiamo nella mano, crediamo di possedere l’universo  e di organizzare… programmare... comandare tutto… ma è solo una sterile e nefasta illusione. La parte vivente di noi si spegne ogni giorno più inesorabilmente. Le parole di un uomo libero, più che mai, possono essere profondamente salutari… “Mi sono sempre sforzato di svegliare quelli che dormono e di impedire agli altri di addormentarsi.” [1]


Sono quel che scrivo

La mia opera vale quel che vale, ma non è un teatro ben organizzato in cui gli spettatori vengono per distrarsi, e dove io stesso vado per cercare di distrarli, cioè per guadagnarmi la vita.
La mia opera sono io stesso, è la mia casa; io vi parlo con la pipa in bocca, il mio abito ancora bagnato dall'ultimo temporale e con gli stivali che fumano dinanzi al focolare.
Per rivolgermi a voi, non mi curo neppure di passare da una stanza all'altra, vi scrivo dalla sala comune, sopra la tavola sulla quale fra poco cenerò con mia moglie e i miei figli. Tra voi e me non c'è neppure il tramite ordinario di una biblioteca, poiché io non ho libri.
Tra voi e me non c'è che questo quaderno da due soldi. Non si affidano menzogne a un quaderno da due soldi. Per questo prezzo non posso darvi che la verità.[2]

Rivivere

Che importa che la mia opera sopravviva? La grazia che aspetto è che essa riviva, foss'anche in un altro secolo, un altro tempo, un'altra terra, un'altra anima, la quale non saprà nulla di me, neppure il mio nome. C'è mille volte più onore a rivivere che a sopravvivere.[3]
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La mia musica vi arriva dalle estremità del mondo, così come la testimonianza non della mia arte, ma della mia costanza.
Non è la mia canzone che è immortale, è ciò che io canto.[4]


Infanzia

Appena prendo la penna, ciò che subito sorge in me è la mia infanzia, la mia infanzia così ordinaria, che somiglia a tutte le altre, e dalla quale tuttavia traggo tutto quel che scrivo, come da una sorgente inesauribile di sogni.
I volti e i paesaggi della mia infanzia, tutti confusi, mescolati da questa specie di memoria incosciente che fa di me ciò che sono, un romanziere, e, se piace a Dio, un poeta.[5]

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Che importa la mia vita! Voglio soltanto che essa resti fino in fondo fedele al bambino che fui.[6]
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Spirito d'infanzia

Ho sempre pensato che il mondo moderno peccasse contro lo spirito d'infanzia, e che questo crimine l'avrebbe fatto morire. È chiaro che la Parola del Vangelo: “Non potete servire Dio e il denaro” ha il suo equivalente: Non potete insieme servire lo spirito d'infanzia e lo spirito di cupidigia.[7]

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Povertà

Io sono contento di avere costruito la mia vita così male che vi si può entrare come in un mulino. Aggiungerò che non rimpiango di aver fatto tanto cammino attraverso il mare, poiché ho trovato in questo paese, se non la casa dei miei sogni, almeno quella che somiglia meglio alla mia vita, una casa fatta per la mia vita. Le porte non hanno serrature, le finestre sono senza vetri, le camere non hanno soffitto, e l'assenza di soffitto fa che sia visibile tutto quello che nelle altre è nascosto... Di questa casa, si può dire che è aperta! Viene a noi chi vuole, per la strada che vuole. Tra noi e quelli che passano non vi è che un muro di terra che dal tramonto all'alba, attraverso tutti gli interstizi, aspira l'aria notturna. Noi siamo nelle mani dei passanti.
Potessimo, sempre insieme, io e i miei libri, essere alla mercé dei passanti![8]

Vocazione

Non sarò mai nient'altro che uno scrittore francese che dice la verità e che andrà fino in fondo al suo rischio.[9]
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Occorre che la mia vocazione, il mio lavoro e la mia vita non facciano che una cosa sola, che io innalzi tutto ciò fino a Lui.[10]
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Mi sembra che io abbia rispettato la mia vocazione; essa non è stata per me una fonte di onori o di vantaggi; io non l'ho trattata come un'amante, ma come una compagna venerabile alla quale Dio mi ha unito.[11]


Arte e scrittura

L'arte non mi impedisce di dormire. Se avessi uno scrupolo d'artista vorrei che non servisse ad altro che a toccare più profondamente i cuori. Arte è parlare alle anime.[12]

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Il mestiere letterario non mi tenta, mi è imposto. È il solo mezzo che mi è dato di esprimermi, cioè di vivere. Per tutti un'emancipazione, una liberazione dell'uomo interiore, ma qui qualcosa di più: la condizione della mia vita morale.[13]

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Così preso il mestiere di scrittore non è più un mestiere, è un'avventura, e in primo luogo un'avventura spirituale. Tutte le avventure spirituali sono dei Calvari.[14]

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Ho imparato a soffrire un giorno intero davanti ad una pagina bianca, piuttosto che abbandonare un'idea giusta.[15]
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In questo mondo, la condizione del letterato somiglia molto a quella del turista; la passione che li anima è la curiosità. L'uomo di lettere passa da un'idea all'altra come l'altro da un paesaggio all'altro.
Io non sono curioso. Posso perfino affermare che la curiosità mi sembra una specie di vizio egoista, crudele e vano. Io non mi servo delle idee, sono le idee che cerco di servire. O piuttosto esse si servono di me.[16]
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Che importa se i miei libri non suscitano che curiosità, o anche simpatia! Ciò che occorre è che spezzino i cuori.[17]


Amore

Io cerco di comprendere. Credo che mi sforzo d'amare.[18]

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Non avendo mai atteso dall'esperienza che mi apportasse la saggezza, io le chiedo soltanto un approfondimento della mia pietà, che scavi in me così profondamente per non rischiare più che si prosciughi la sorgente delle lacrime.[19]


Verità

Ho ricevuto la mia parte di verità come ciascuno di voi ha ricevuto la sua, e ho compreso molto tardi che non vi aggiungerò nulla, che la mia sola speranza di servirla è di conformarvi la mia testimonianza e la mia vita. Poche persone rinnegano la loro verità, forse nessuno... Si contentano di mitigarla, di sminuirla, di diluirla: ”Mettono l’acqua nel proprio vino”.[20]


Ottimismo e pessimismo

Il termine pessimismo non ha più senso ai miei occhi così come quello di ottimismo, che generalmente gli si oppone. Questi due termini sono svuotati dall'uso così come il termine di democrazia, che serve a tutto e a tutti.
Il pessimista e l'ottimista hanno in comune il fatto di non vedere le cose così come sono: l'ottimista è un imbecille felice, il pessimista un imbecille infelice.
So bene che vi sono tra voi molte persone in buona fede che confondono speranza e ottimismo.
L'ottimismo è un surrogato della speranza, di cui la propaganda ufficiale si riserva il monopolio. Approva tutto, subisce tutto, è per eccellenza la virtù del contribuente. Quando il fisco lo ha spogliato perfino della camicia, il contribuente ottimista si abbona ad una rivista nudista e dichiara di camminare nudo per igiene, affermando di non essersi mai sentito così bene.[21]
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Io spero il regno di Dio. La civiltà scommette per la parte bassa dell'uomo. Noi scommettiamo per l'altra. Essere eroici o non essere più.[22]


Il linguaggio dell'infanzia

Non si parla in nome dell'infanzia, occorrerebbe parlare il suo linguaggio.
Ed è questo linguaggio dimenticato, questo linguaggio che io cerco di libro in libro, imbecille! Come se un tale linguaggio potesse scriversi, fosse mai stato scritto.
Non importa! Mi capita talvolta di ritrovarne qualche accento... ed è questo che vi rende l'orecchio attento, compagni dispersi in tutto il mondo, che, per caso o per noia, avete un giorno aperto i miei libri.[23]
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Parlare un linguaggio cristiano ! io non voglio dire un linguaggio ortodosso, approvato dai censori, irreprensibile, ma un linguaggio cristiano, mio Dio, un linguaggio che tocchi i cuori, che coinvolga i cuori.[24]


Io non sono...

Io non sono un filosofo, un pensatore, un professore. Sono un uomo come voi, come uno qualunque di voi, ma io sento ciò che voi non sentite, ciò che voi subite senza sentirlo l'immensa pressione esercitata ad ogni ora, giorno e notte, su tutti noi dal conformismo universale, anonimo, che dispone di risorse inesauribili, di metodi ingegnosi ed implacabili per la deformazione degli spiriti. Queste risorse, questi metodi sono nelle mani di un ristretto numero di uomini legati al potere economico, senza scrupoli, molto più potenti dei governi.[25]

Io non sono uno scrittore. La sola vista di un foglio di carta bianca mi sconquassa l'anima. La specie di raccoglimento fisico che un tale lavoro impone mi è così odioso che lo evito tanto quanto posso.[26]
~   ~   ~

Lo strumento di cui mi servo è odioso, perché io sono maldestro, e, quando mi succede di utilizzarlo abilmente, nove volte su dieci, riesco a soddisfare solo i conoscitori, gli iniziati. Ma non importa! È il mio strumento, è il solo di cui dispongo; non meritavo che il buon Dio me ne designasse uno diverso; io so perfettamente che un santo sorriderebbe di questo povero mezzo per toccare i cuori. Ma è il mio strumento.[27]

  
Io sono un vagabondo...

Pensatemi come una specie di viaggiatore, di avventuriero. Non sono altro, non sono degno di essere altro e, se entro in cielo, vorrei che fosse in questa qualità di vagabondo.[28]

                                                                                  ~   ~   ~



* Pubblicato in Bernanos. Pensieri parole profezie, Milano, Paoline, 1996.






NOTE

[1] Liberté, 299
[2] Anglais, 21
[3] Enfants, 902
[4] Enfants, 867
[5] Correspondance II, 114
[6] Cimetières, 404.
[7] Cimetières, 531
[8] Enfants, 879
[9] Correspondance II, 621
[10] Correspondance II, 312
[11] Correspondance II, 311
[12] Correspondance II, 401
[13] Correspondance I, 162
[14] Correspondance II, 588
[15] Correspondance I, 296
[16] Robots, 162
[17] Correspondance I, 361
[18] Cimetières, 371
[19] Cimetières, 526
[20] Enfants, 901
[21] Liberté, 15
[22]  Intervista del 1931 di F. Lefèvre, cit in Essais, 1223
[23] Cimetières, 355
[24] Enfants, 843
[25]  Robots, 234
[26] Cimetières, 353
[27] Enfants, 876
[28]  Correspondance I, 305

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