LE PAROLE DI UN “UOMO LIBERO”.
Ecco alcune affermazioni di Bernanos su se stesso. Non
parole blabla, ma la
condivisione di un vissuto, di un’esperienza artistica, umana e spirituale che
può dilatare i nostri orizzonti, troppo spesso rimpiccioliti a misura… di
smartphone; attraverso la “tavoletta” più o meno sofisticata e
superaccessoriata, che stringiamo nella mano, crediamo di possedere
l’universo e di organizzare… programmare... comandare tutto… ma è solo
una sterile e nefasta illusione. La parte vivente di noi si spegne ogni giorno
più inesorabilmente. Le parole di un uomo libero, più che mai, possono essere
profondamente salutari… “Mi sono sempre
sforzato di svegliare quelli che dormono e di impedire agli altri di
addormentarsi.” [1]
Sono quel che scrivo
La mia
opera vale quel che vale, ma non è un teatro ben organizzato in cui gli
spettatori vengono per distrarsi, e dove io stesso vado per cercare di
distrarli, cioè per guadagnarmi la vita.
La mia
opera sono io stesso, è la mia casa; io vi parlo con la pipa in bocca, il mio
abito ancora bagnato dall'ultimo temporale e con gli stivali che fumano dinanzi
al focolare.
Per
rivolgermi a voi, non mi curo neppure di passare da una stanza all'altra, vi
scrivo dalla sala comune, sopra la tavola sulla quale fra poco cenerò con mia
moglie e i miei figli. Tra voi e me non c'è neppure il tramite ordinario di una
biblioteca, poiché io non ho libri.
Tra
voi e me non c'è che questo quaderno da due soldi. Non si affidano menzogne a
un quaderno da due soldi. Per questo prezzo non posso darvi che la verità.[2]
Rivivere
Che
importa che la mia opera sopravviva? La grazia che aspetto è che essa riviva,
foss'anche in un altro secolo, un altro tempo, un'altra terra, un'altra anima,
la quale non saprà nulla di me, neppure il mio nome. C'è mille volte più onore
a rivivere che a sopravvivere.[3]
~ ~ ~
La mia musica vi
arriva dalle estremità del mondo, così come la testimonianza non della mia
arte, ma della mia costanza.
Non è la mia canzone
che è immortale, è ciò che io canto.[4]
Infanzia
Appena
prendo la penna, ciò che subito sorge in me è la mia infanzia, la mia infanzia
così ordinaria, che somiglia a tutte le altre, e dalla quale tuttavia traggo
tutto quel che scrivo, come da una sorgente inesauribile di sogni.
I volti e i paesaggi della mia infanzia,
tutti confusi, mescolati da questa specie di memoria incosciente che fa di me
ciò che sono, un romanziere, e, se piace a Dio, un poeta.[5]
~ ~ ~
Che importa la mia vita! Voglio soltanto che
essa resti fino in fondo fedele al bambino che fui.[6]
~ ~ ~
Spirito
d'infanzia
Ho sempre pensato che il mondo moderno
peccasse contro lo spirito d'infanzia, e che questo crimine l'avrebbe fatto
morire. È chiaro che la Parola del Vangelo: “Non potete servire Dio e il denaro” ha il suo equivalente: Non
potete insieme servire lo spirito d'infanzia e lo spirito di cupidigia.[7]
~ ~ ~
Povertà
Io sono contento di avere costruito la mia
vita così male che vi si può entrare come in un mulino. Aggiungerò che non
rimpiango di aver fatto tanto cammino attraverso il mare, poiché ho trovato in
questo paese, se non la casa dei miei sogni, almeno quella che somiglia meglio
alla mia vita, una casa fatta per la mia vita. Le porte non hanno serrature, le
finestre sono senza vetri, le camere non hanno soffitto, e l'assenza di
soffitto fa che sia visibile tutto quello che nelle altre è nascosto... Di
questa casa, si può dire che è aperta! Viene a noi chi vuole, per la strada che
vuole. Tra noi e quelli che passano non vi è che un muro di terra che dal
tramonto all'alba, attraverso tutti gli interstizi, aspira l'aria notturna. Noi
siamo nelle mani dei passanti.
Potessimo, sempre insieme, io e i miei libri,
essere alla mercé dei passanti![8]
Vocazione
Non sarò mai nient'altro che uno scrittore
francese che dice la verità e che andrà fino in fondo al suo rischio.[9]
~ ~ ~
Occorre che la mia vocazione, il mio lavoro e
la mia vita non facciano che una cosa sola, che io innalzi tutto ciò fino a
Lui.[10]
~ ~ ~
Mi sembra che io abbia rispettato la mia
vocazione; essa non è stata per me una fonte di onori o di vantaggi; io non
l'ho trattata come un'amante, ma come una compagna venerabile alla quale Dio mi
ha unito.[11]
Arte
e scrittura
L'arte non mi impedisce di dormire. Se avessi
uno scrupolo d'artista vorrei che non servisse ad altro che a toccare più
profondamente i cuori. Arte è parlare alle anime.[12]
~ ~ ~
Il mestiere letterario non mi tenta, mi è
imposto. È il solo mezzo che mi è dato di esprimermi, cioè di vivere. Per tutti
un'emancipazione, una liberazione dell'uomo interiore, ma qui qualcosa di più:
la condizione della mia vita morale.[13]
~ ~ ~
Così preso il mestiere di scrittore non è più
un mestiere, è un'avventura, e in primo luogo un'avventura spirituale. Tutte le
avventure spirituali sono dei Calvari.[14]
~ ~ ~
Ho imparato a soffrire un giorno intero
davanti ad una pagina bianca, piuttosto che abbandonare un'idea giusta.[15]
~ ~ ~
In questo mondo, la condizione del letterato
somiglia molto a quella del turista; la passione che li anima è la curiosità.
L'uomo di lettere passa da un'idea all'altra come l'altro da un paesaggio
all'altro.
Io non sono curioso. Posso perfino affermare
che la curiosità mi sembra una specie di vizio egoista, crudele e vano. Io non
mi servo delle idee, sono le idee che cerco di servire. O piuttosto esse si
servono di me.[16]
~ ~ ~
Che importa se i miei libri non suscitano che
curiosità, o anche simpatia! Ciò che occorre è che spezzino i cuori.[17]
Amore
Io cerco di comprendere. Credo che mi sforzo
d'amare.[18]
~ ~ ~
Non avendo mai atteso dall'esperienza che mi
apportasse la saggezza, io le chiedo soltanto un approfondimento della mia
pietà, che scavi in me così profondamente per non rischiare più che si
prosciughi la sorgente delle lacrime.[19]
Verità
Ho ricevuto la mia parte di verità come
ciascuno di voi ha ricevuto la sua, e ho compreso molto tardi che non vi
aggiungerò nulla, che la mia sola speranza di servirla è di conformarvi la mia
testimonianza e la mia vita. Poche persone rinnegano la loro verità, forse
nessuno... Si contentano di mitigarla, di sminuirla, di diluirla: ”Mettono l’acqua nel proprio vino”.[20]
Ottimismo
e pessimismo
Il termine pessimismo non ha più senso ai
miei occhi così come quello di ottimismo, che generalmente gli si oppone.
Questi due termini sono svuotati dall'uso così come il termine di democrazia,
che serve a tutto e a tutti.
Il pessimista e l'ottimista hanno in comune
il fatto di non vedere le cose così come sono: l'ottimista è un imbecille
felice, il pessimista un imbecille infelice.
So bene che vi sono tra voi molte persone in
buona fede che confondono speranza e ottimismo.
L'ottimismo è un surrogato della speranza, di
cui la propaganda ufficiale si riserva il monopolio. Approva tutto, subisce
tutto, è per eccellenza la virtù del contribuente. Quando il fisco lo ha
spogliato perfino della camicia, il contribuente ottimista si abbona ad una
rivista nudista e dichiara di camminare nudo per igiene, affermando di non
essersi mai sentito così bene.[21]
~ ~ ~
Io spero il regno di Dio. La civiltà
scommette per la parte bassa dell'uomo. Noi scommettiamo per l'altra. Essere
eroici o non essere più.[22]
Il
linguaggio dell'infanzia
Non si parla in nome dell'infanzia,
occorrerebbe parlare il suo linguaggio.
Ed è questo linguaggio dimenticato, questo
linguaggio che io cerco di libro in libro, imbecille! Come se un tale
linguaggio potesse scriversi, fosse mai stato scritto.
Non importa! Mi capita talvolta di ritrovarne
qualche accento... ed è questo che vi rende l'orecchio attento, compagni
dispersi in tutto il mondo, che, per caso o per noia, avete un giorno aperto i
miei libri.[23]
~ ~ ~
Parlare un linguaggio cristiano ! ‒ io non voglio dire un linguaggio ortodosso, approvato
dai censori, irreprensibile, ‒ ma un linguaggio
cristiano, mio Dio, un linguaggio che tocchi i cuori, che coinvolga i cuori.[24]
Io
non sono...
Io non sono un filosofo, un pensatore, un
professore. Sono un uomo come voi, come uno qualunque di voi, ma io sento ciò
che voi non sentite, ciò che voi subite senza sentirlo ‒ l'immensa pressione esercitata ad ogni ora, giorno e
notte, su tutti noi dal conformismo universale, anonimo, che dispone di risorse
inesauribili, di metodi ingegnosi ed implacabili per la deformazione degli
spiriti. Queste risorse, questi metodi sono nelle mani di un ristretto numero
di uomini legati al potere economico, senza scrupoli, molto più potenti dei governi.[25]
Io non sono uno scrittore. La sola vista di
un foglio di carta bianca mi sconquassa l'anima. La specie di raccoglimento
fisico che un tale lavoro impone mi è così odioso che lo evito tanto quanto
posso.[26]
~ ~ ~
Lo strumento di cui mi servo è odioso, perché
io sono maldestro, e, quando mi succede di utilizzarlo abilmente, nove volte su
dieci, riesco a soddisfare solo i conoscitori, gli iniziati. Ma non importa! È
il mio strumento, è il solo di cui dispongo; non meritavo che il buon Dio me ne
designasse uno diverso; io so perfettamente che un santo sorriderebbe di questo
povero mezzo per toccare i cuori. Ma è il mio strumento.[27]
Io
sono un vagabondo...
Pensatemi come una specie di viaggiatore, di
avventuriero. Non sono altro, non sono degno di essere altro e, se entro in
cielo, vorrei che fosse in questa qualità di vagabondo.[28]
~ ~ ~
* Pubblicato in Bernanos. Pensieri parole profezie, Milano, Paoline,
1996.
[9] Correspondance II, 621
[10] Correspondance II, 312
[11] Correspondance II, 311
[12] Correspondance II, 401
[13] Correspondance I, 162
[14] Correspondance II, 588
[15] Correspondance I, 296
[16] Robots, 162
[17] Correspondance I, 361
[18] Cimetières, 371
[19] Cimetières, 526
[20] Enfants, 901
[21] Liberté, 15
[22] Intervista del 1931 di F. Lefèvre, cit in Essais, 1223
[23] Cimetières, 355
[24] Enfants, 843
[25] Robots, 234
[28] Correspondance I, 305
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