La
poesia-profezia di David Maria Turoldo
La poesia: “una finestra sulle
cose, un angolo dove,
almeno per un attimo, poter udire
la Voce”. (David Maria Turoldo)
«Tardi ti ho incontrato, o Bellezza
tanto antica e tanto nuova! Tardi ti ho
conosciuto!» Così cantava Agostino, ma noi rischiamo, sempre più affogati
nello stressante clima di guerra e di mercato quotidiano, di condurre la nostra
vita senza poter giungere a fare
esperienza di quest’incontro con la bellezza, neppure ‘tardi’. Un mondo che parla
di guerra è un mondo che ha dimenticato la bellezza.
Ritengo pertanto che sia
quanto mai urgente dire-scrivere parole di “poesia”, nel tentativo di risvegliare
in noi e in chi ci circonda una capacità di guardare cose e persone oltre le
apparenze, nella loro bellezza e verità originaria.
Per molti
parlare di poesia è un po’ come parlare di fede, ossia “tempo perso”: ci sono
cose ben più importanti da fare e da pensare! Ma tali convincimenti, tradotti
in modo di vivere, hanno svuotato l’essere umano, consumandone tutta la
dimensione creativa.
Fede e poesia sono due
esperienze in cui la persona trascende la sua
stessa umanità, realizzandosi più pienamente, giacché, come diceva
Pascal, «l’uomo supera infinitamente
l’uomo»: per essere autenticamente persona, occorre andare “oltre”
la materialità dell’umano.
Fede e poesia si rivelano pertanto due straordinarie
avventure, ciascuna con un percorso specifico, s’intende, ma accomunate da due
caratteristiche:
a) sono alla portata di tutti;
b) consentono di cogliere l’essenziale, ossia ciò di cui si ha realmente
bisogno per vivere umanamente.
Entrambe però richiedono il
silenzio, un profondo, amoroso, rispettosissimo silenzio interiore. Silenzio
come capacità di ascolto, silenzio come umiltà.
Diceva Enrico Medi: «L’uomo
diventa grande quando, nella sua piccolezza, raccoglie la grandezza dei cieli e
lo splendore della terra, e al Padre comune
li offre, in adorazione e in amore».
L’esperienza della poesia,
come quella della fede, eleva la capacità di sguardo, consente di andare
“oltre” le apparenze; rende abili a “vedere” la bellezza anche in ciò che di
solito appare solo materia; insegna a saper scorgere l’invisibile anche sotto
il velo del quotidiano più monotono.
Il poeta è un profeta, così
come il mistico, nel senso che è capace di vedere oltre, di scoprire
l’originario, il mai visto anche in ciò che sembra essere già conosciuto.
Ogni atto
poetico è, al di là del contenuto, un atto religioso, usando quest’ultimo
termine nella sua accezione di re-ligare, ossia di riunire, mettere insieme, cogliere il comune respiro delle cose, il soffio che le anima, il sogno
che le sospinge in avanti.
È
doveroso, scrivendo di fede e poesia, ricordare l’esperienza forte di David
Maria Turoldo, sacerdote e poeta, la cui
passione per l’uomo e per Dio ha donato alla sua scrittura la forza travolgente
propria dei profeti.
Poco conosciuto dal grosso pubblico,
forse perché prete, Turoldo sarà certamente riscoperto come fra i più grandi
poeti del Novecento, per il fuoco della
sua parola poetica, capace di scavare, con rigore e lucidità, in ogni
interstizio dell’esperienza umana e delle più autentiche problematiche
esistenziali.
Per Turoldo, la Poesia è «una finestra
sulle cose, un angolo dove, almeno per un attimo, poter udire la Voce». La sua fede incrollabile
gli ha permesso di far propria la sofferenza di Giobbe e lo scoramento del
Qoelet, senza mai però smettere di fare delle sue parole, violente come «sassi»,
così come della sua vita, un solenne canto a Dio.
Turoldo indica un percorso che, oggi, mi sembra
davvero attuale e urgente: dinanzi alla Parola che si fa carne, che le nostre
parole si facciano canto.
Dio che è Luce, e ha creato
la luce, ha posto in ogni uomo questa capacità di vedere, di scorgere la bellezza,
se ci si lascia illuminare dalla sua grazia.
L’occhio tuo fondo
gli hai posto nel cuore
perché egli scopra le tue
meraviglie
e sempre celebri il santo
tuo nome
la tua bellezza cantando nel
canto.
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Breve Nota su Turoldo
David Maria Turoldo è nato a Coderno
del Friuli nel 1916. Viene ordinato sacerdote, frate dei Servi di Maria, nel
1940. Per circa trent’anni è priore e parroco dell’abbazia di S. Egidio a
Fontanella, frazione di Sotto il Monte.
È autore di un numero notevole di
opere, prevalentemente di poesia, dall’iniziale Io non ho mani del 1948,
ai Canti ultimi del 1991.
A Milano, il 21 novembre 1991, riceve
il premio “Lazzati” e in quell’occasione, il cardinale Martini, dichiarandolo
una delle “voci profetiche” dell’età contemporanea, gli chiede pubblicamente
scusa delle incomprensioni della Chiesa nei suoi confronti.
Dopo tre anni di malattia, David Maria
Turoldo muore di cancro il 6 febbraio 1992.
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~ ~
Versi sparsi
Ricondurre la mente
al centro del cuore dove
finalmente celebrare l'incontro.
~
Sono vagabondo come il
vento,
libertà è il mio tempio e
casa.
Ad altri accumulare tesori
che ladri scassinano,
a me basti la gioia di cantare.
~
Mia natura è di essere
presente: amare
la realtà che sento;
toccare,
divenire queste morenti cose
salvarle nel mio gesto
di pietà.
~
Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la bellezza.
~
Voglio dispiegare laudi
al davanzale, tra cielo e
mare.
Luce creante, luce
sostanza delle piante
degli uccelli in volo
festa del nostro pensare
del nostro guardare
le cose ogni giorno nuove.
~
Emigrare al di là del
visibile
e raggiungere lo stato di
verità
e fare del mistero la tua
casa
e sentirti beato
perché finalmente pazzia
non ti manca!
E il fango trasfigurare in
oro...
~
Il futuro è già presente
e viene incontro,
luce adorna come fiori le
piaghe,
resurrezione
ha nome
il nostro giorno.
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