02 marzo 2014

La poesia-profezia di David Maria Turoldo

 La poesia: “una finestra sulle cose, un angolo dove,
almeno per un attimo, poter udire la Voce”. (David Maria Turoldo)


    «Tardi ti ho incontrato, o Bellezza tanto antica e tanto nuova! Tardi ti ho conosciuto Così cantava Agostino, ma noi rischiamo, sempre più affogati nello stressante clima di guerra e di mercato quotidiano, di condurre la nostra vita senza  poter giungere a fare esperienza di quest’incontro con la bellezza, neppure ‘tardi’. Un mondo che parla di guerra è un mondo che ha dimenticato la bellezza.
Ritengo pertanto che sia quanto mai urgente dire-scrivere parole di “poesia”, nel tentativo di risvegliare in noi e in chi ci circonda una capacità di guardare cose e persone oltre le apparenze, nella loro bellezza e verità originaria.
Per molti parlare di poesia è un po’ come parlare di fede, ossia “tempo perso”: ci sono cose ben più importanti da fare e da pensare! Ma tali convincimenti, tradotti in modo di vivere, hanno svuotato l’essere umano, consumandone tutta la dimensione creativa.
Fede e poesia sono due esperienze in cui la persona trascende la sua  stessa umanità, realizzandosi più pienamente, giacché, come diceva Pascal, «l’uomo supera infinitamente l’uomo»: per essere autenticamente persona, occorre andare “oltre” la materialità dell’umano.
Fede e poesia si rivelano pertanto due straordinarie avventure, ciascuna con un percorso specifico, s’intende, ma accomunate da due caratteristiche:
a)  sono alla portata di tutti;
b) consentono di cogliere l’essenziale, ossia ciò di cui si ha realmente bisogno per vivere umanamente. 
Entrambe però richiedono il silenzio, un profondo, amoroso, rispettosissimo silenzio interiore. Silenzio come capacità di ascolto, silenzio come umiltà.
Diceva Enrico Medi: «L’uomo diventa grande quando, nella sua piccolezza, raccoglie la grandezza dei cieli e lo splendore della terra, e al Padre comune li offre, in adorazione e in amore».
L’esperienza della poesia, come quella della fede, eleva la capacità di sguardo, consente di andare “oltre” le apparenze; rende abili a “vedere” la bellezza anche in ciò che di solito appare solo materia; insegna a saper scorgere l’invisibile anche sotto il velo del quotidiano più monotono.
Il poeta è un profeta, così come il mistico, nel senso che è capace di vedere oltre, di scoprire l’originario, il mai visto anche in ciò che sembra essere già conosciuto.
Ogni atto poetico è, al di là del contenuto, un atto religioso, usando quest’ultimo termine nella sua accezione di re-ligare, ossia di riunire, mettere insieme, cogliere il comune respiro delle cose, il soffio che le anima, il sogno che le sospinge in avanti.
È doveroso, scrivendo di fede e poesia, ricordare l’esperienza forte di David Maria Turoldo, sacerdote e poeta, la cui passione per l’uomo e per Dio ha donato alla sua scrittura la forza travolgente propria dei profeti.
Poco conosciuto dal grosso pubblico, forse perché prete, Turoldo sarà certamente riscoperto come fra i più grandi poeti del Novecento, per  il fuoco della sua parola poetica, capace di scavare, con rigore e lucidità, in ogni interstizio dell’esperienza umana e delle più autentiche problematiche esistenziali.
Per Turoldo, la Poesia è «una finestra sulle cose, un angolo dove, almeno per un attimo, poter udire la Voce». La sua fede incrollabile gli ha permesso di far propria la sofferenza di Giobbe e lo scoramento del Qoelet, senza mai però smettere di fare delle sue parole, violente come «sassi», così come della sua vita, un solenne canto a Dio.
Turoldo indica un percorso che, oggi, mi sembra davvero attuale e urgente: dinanzi alla Parola che si fa carne, che le nostre parole si facciano canto.
Dio che è Luce, e ha creato la luce, ha posto in ogni uomo questa capacità di vedere, di scorgere la bellezza, se ci si lascia illuminare dalla sua grazia.
 L’occhio tuo fondo
gli hai posto nel cuore
perché egli scopra le tue meraviglie
e sempre celebri il santo tuo nome
la tua bellezza cantando nel canto.
                                            ~    ~    ~

Breve Nota su Turoldo

David Maria Turoldo è nato a Coderno del Friuli nel 1916. Viene ordinato sacerdote, frate dei Servi di Maria, nel 1940. Per circa trent’anni è priore e parroco dell’abbazia di S. Egidio a Fontanella, frazione di Sotto il Monte.
È autore di un numero notevole di opere, prevalentemente di poesia, dall’iniziale Io non ho mani del 1948, ai Canti ultimi del 1991.
A Milano, il 21 novembre 1991, riceve il premio “Lazzati” e in quell’occasione, il cardinale Martini, dichiarandolo una delle “voci profetiche” dell’età contemporanea, gli chiede pubblicamente scusa delle incomprensioni della Chiesa nei suoi confronti.
Dopo tre anni di malattia, David Maria Turoldo muore di cancro il 6 febbraio 1992.
                                                       ~    ~    ~

Versi sparsi

Ricondurre la mente
al centro del cuore dove
finalmente celebrare l'incontro.
~

Sono vagabondo come il vento,
libertà è il mio tempio e casa.
Ad altri accumulare tesori
che ladri scassinano,
a me basti la gioia di cantare.
~

Mia natura è di essere
presente: amare
la realtà che sento; toccare,
divenire queste morenti cose
salvarle nel mio gesto
di pietà.
~

Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la bellezza.
~

Voglio dispiegare laudi
al davanzale, tra cielo e mare.
Luce creante, luce
sostanza delle piante
degli uccelli in volo
festa del nostro pensare
del nostro guardare
le cose ogni giorno nuove.
~

Emigrare al di là del visibile
e raggiungere lo stato di verità
e fare del mistero la tua casa
e sentirti beato
perché finalmente pazzia
non ti manca!
E il fango trasfigurare in oro...
~

Il futuro è già presente
e viene incontro,
luce adorna come fiori le piaghe,
resurrezione ha nome
   il nostro giorno.
                                                ~    ~    ~
                      













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