22 maggio 2020

L’Albero di via Notarbartolo 23


Che gran paternità quella degli alberi, che sanno dare
a ciascuno dei loro rami un cammino verso la luce.
 Lorenzo Olivan






‒ Tremai.
Un terrificante boato scoppiò, ma molto lontano da me. Eppure ne avvertii l’esplosione, come se i palazzi d’intorno fossero stati bombardati, ma nessuna montagna… nessuna autostrada… nessuno scoppio. Solo un silenzio sconfinato sulla città. Io al solito posto. Le mie radici sul marciapiede, i miei rami sulla facciata del palazzo. Eppure tremai.
Fu silenzio. Fu deserto. Fu inferno. Io tremai e piansi. So bene che gli alberi non piangono e neppure i comici o i cantanti, ma qui accadde e continua ad accadere.

Palermo è bella non solo per il mare e il cielo, per il cibo e i colori, per i suoi artisti e i suoi monumenti. Palermo è bella anche per i suoi alberi. Quanti miei fratelli nati e cresciuti negli spazi di questa sorprendente città! Ci sono alberi così monumentali da essere inseriti nelle guide turistiche, come quelli dell’Orto Botanico, il cipresso di santa Maria di Gesù, alto circa 23 metri e lo spettacolare Ficus di piazza Marina, il più grande albero d’Europa.
Io invece ignorato, in questa via Notarbatolo 23, attraversata quotidianamente da migliaia di macchine rumorose e da passanti distratti. Forse nessuno si era mai fermato a guardarmi, ma ci sono giorni che cambiano la vita degli uomini, come anche degli alberi.
Da allora, sembra che nulla sia mutato. Io sono sempre qui, al numero 23; le radici nel cemento, le mie fronde sui balconi, ma da quel giorno nulla è più come prima.

Dopo poche ore da quel tragico boato un numero di persone sempre crescente iniziò a raccogliersi davanti a me. Avvertivo forti sentimenti di rabbia e di sgomento, ma anche la vigorosa voglia di non arrendersi. Senza che nessuno lo decidesse, in modo spontaneo divenni “un luogo di memoria”, “un altare laico”, un vigoroso richiamo alla legalità.
Visite, biglietti, fiori, striscioni; sono una sorta di reliquario laico, a cui cittadini indignati e/o speranzosi continuano ad affidare parole e attese. Forse questi gesti che ad alcuni potrebbero apparire fanatici o insignificanti generano energia positiva che, purtroppo, non a tutti è gradita. Certo è che un giorno mi spogliarono, lasciando il mio tronco nudo. Portarono via foto e messaggi, fiori e parole di riconoscenza, Un gesto squallido, un furto ignobile, un’azione esecrabile, ma la reazione dei palermitani fu immediata e subito fui nuovamente rivestito di segni di solidarietà.

Dinanzi a me – ormai da ventisei anni –  ogni 23 maggio si compie un rito, una celebrazione della speranza.
Da punti diversi – e non solo della città ma dell’Italia tutta –  mi raggiungono festosi cortei di ragazzi, canti, striscioni colorati e lenzuoli bianchi. Giungono ad un orario ben preciso, si radunano dinanzi a me, perché per tutti coloro che aprono l’orecchio del cuore, dopo le parole, le testimonianze e i canti, alle 17:58, ancora una volta la tromba della Polizia di Stato suonerà il Silenzio per sovrastare quell’antico boato e suggerire note di futuro nei cuori raggrinziti.
E nel silenzio solenne ciascuno potrà ascoltare la parola che si genera dalla morte dei Giusti.
Una Parola capace di cambiare le cose, di ri-creare il mondo e di renderlo più umano.

Scoppierà come ogni anno un boato di applausi. Mi abbracceranno associazioni, gruppi, rappresentanti delle istituzioni, famiglie, e tanti bambini, a cui i genitori racconteranno la “storia”. Sì, perché il 23 maggio è Storia. E la storia deve essere raccontata per rimanere viva e feconda, per non essere dimenticata.

È vero che dopo tanti anni, molto poco si sa della verità dei fatti accaduti. Forse per questo taluni affermano che queste manifestazioni annuali siano inutili. È indubbio che i “riti” rischiano di essere mummificati dall’abitudine, le manifestazioni pubbliche possono certo trasformarsi in passerelle, in spazi di protagonismo, ma è altresì vero che ciò dipende dalle persone. Il rito, nella sua cadenzata ripetitività, è essenziale nella vita di ogni persona. Abbiamo bisogno delle ricorrenze per custodire la memoria, per rinnovarla nella nostra vita personale e sociale. Per dar senso a ciò che ha avuto Senso.

Non va mai dimenticato inoltre che la storia ha due volti, come ogni realtà autenticamente umana: ciò che si mostra e che è tangibile e un altro volto, quello sotterraneo. L’umanità attraversa terreni carsici e c’è una dimensione invisibile ma operativa che scava giù, nel profondo delle coscienze, nella memoria del cuore. E, in modo più o meno consapevole, siamo comunque tutti dei «nani che camminiamo sulle spalle di giganti», sulle spalle e sulle orme di chi, con la propria vita vissuta in pienezza, ha scavato profetici percorsi di autentica rinascita.
 Ed è la “memoria” che ogni anno viene raccontata qui il 23 maggio, perché non rimanga solo… memoria.  Io, sempre apparentemente immutato e immobile, con le mie radici e le mie fronde unisco la terra all’azzurro, il passato al futuro. Sono segno di unione e condivisione.
I palloncini tricolore, che alla fine della manifestazione volano alti nel cielo blu della città, divengono icona della “Palermo chiama Italia” e dell’Italia che risponde a Palermo nel segno di quella nave che porta migliaia di ragazzi da ogni parte della penisola, corpo di un’umanità che non vuole rassegnarsi e che non vuole lasciarsi violentare da barbari e prevaricatori.
Io sono certo di aver visto dinanzi a me tanti occhi e tanti cuori palpitare e risvegliarsi. Ho visto ragazzi – oggi adulti – fare delle scelte di impegno civile, decidere di vivere in modo responsabile il loro essere cittadini, imboccare percorsi non facili per il bene di questa Palermo. Giovani che hanno scelto di non andar via dalla città, ma di prendersene cura… Adulti che, abbandonando indifferenza e disincanto, hanno deciso di impegnarsi per il bene comune.
Io, Albero-Giardiniere mi faccio custode dei loro semi di speranza, dei loro sogni, dei loro progetti.
Io, icona della Palermo che vuole cambiare. 

Con i miei “vestiti” pregni di fedeltà, attendo ogni anno questo incontro, ma finora l’ho atteso da solo.
A “fare memoria”, adesso ci sarà anche la mia fedele compagna, finora del tutto trascurata. La garitta posta dinanzi alla casa del giudice Falcone, finalmente restaurata, sarà anch’essa un’icona per custodire la memoria e offrirsi come spazio per la creatività dei ragazzi palermitani.

Qui dinanzi a me sono passati politici e artisti, rappresentanti delle Istituzioni, persone umili e personaggi famosi, ma io non sto qui a giudicare se sono stellati o di bassa lega, cristiani falsi o democratici dittatori… Le discriminazioni, in ogni ambito, non sono mai utili. I giudizi categorici sempre presuntuosi e pericolosi. Io sono custode di tutti. Giardiniere, custode, padre di tutti e per tutti è il mio messaggio:

– No alla mafia! No alle mafie! No a qualsiasi forma di violenza e d’ingiustizia!
Sì alla libertà di voler collaborare per la rigenerazione di un popolo di persone libere.
Occorre uno spazio, un luogo, una “patria”, dove ciascuno possa ritrovare la sua bellezza e crescere nel coraggio e nel desiderio della partecipazione, mettendo insieme i talenti di tutti, per costruire un’autentica e responsabile comunità civile.

Domani il calendario segnerà 24 e, forse per molti, tutto sarà come prima, ma sono certo che, anche quest’anno, dinanzi a me si sono realizzate connessioni significative e comunque a tutti è stata regalata l’esperienza che “essere insieme” è fondamentale per andare avanti, per resistere, per rinascere. Per ripartire. In quella “folla di speranza”, forse distratta, forse in parte inconsapevole, comunque è stato piantato un seme.
E, in fondo, cos’è un albero se non l’esplosione di un seme che si fa ramo, foglia, fiore, frutto, che diviene rifugio, dona bellezza e non si stanca di spargere semi?

                            «Bisogna guardarlo a lungo un albero
                                   perché nasca in noi a quel modo».      

                                            *Antoine de Saint-Exupéry


Io, Ficus magnolioide, dalla mia nascita, come tutti gli alberi alla ricerca della luce e attento solo ai miei rami. Da ventisei anni attento e desideroso di far passare la luce su questa città, perché sia di nuovo Felicissima.


*
Testo pubblicato nel volume PalermoParla
, una rassegna di scritture promossa dall'associazione Partecipalermo, in occasione di Palermo Capitale della Cultura 2018 e Manifesta12.