02 settembre 2019

Attenzione all'ATTENZIONE!


La persona è un essere relazionale, chiamato al dialogo.
Tutta la vita dovrebbe essere un cammino di crescita nel dialogo: a) con se stessi: consapevolezza del percorso esistenziale da vivere; b) con gli altri: rapporti di condivisione, di collaborazione, di amicizia; c) col mondo: capacità di saper vedere, di saper contemplare, di saper costruire spazi più umani; d) con Dio: preghiera e vita spirituale.
Solo approfondendo la dimensione dialogica si va arricchendo la vita interiore. L’esigenza di rapporti profondi, autentici non è pertanto un passatempo per estroversi, ma dovrebbe costituire lo stile specifico di ogni persona che sceglie di vivere umanamente..
Spesso invece si stabiliscono relazioni solo in funzione delle cose da fare e, esauritasi la motivazione che ha determinato il cosiddetto incontro, tutto evapora in un inspiegabile e mortifero nulla.
Ma un vero incontro è un evento, e ogni evento è una nascita, una nuova vita che deve dar vita ad altra vita.
C’è pertanto da chiedersi perché questo non avviene, o almeno non avviene che raramente.
Di questo immenso campo di indagine mi soffermerò sul ruolo dell’attenzione, che ritengo essenziale alla nascita e al consolidamento del dialogo nelle sue svariate forme.

Il contesto in cui viviamo, strutturato sulla fretta e sulla conseguente agitazione e superficialità, lo stile egocentrico per cui l’io agisce volto unicamente ad imporsi a costo di tutto, rischia di trasformare il nostro vivere sociale in uno stato di aggressione continuata, in cui spesso le migliori energie vengono disperse non tanto nel “fare Novità e Speranza”, quanto nel difendersi da tutte le forme di prevaricazione in una società in cui mantenersi interiormente liberi è già un’impresa titanica.
Tale abitudine allo scontro quotidiano fa sì che non vi sia più tempo per l’incontro vero e, quand'anche si realizzasse, è davvero raro che ci si impegni per alimentarlo adeguatamente perché porti il suo frutto d’amore e di vita.
Causa e segno esteriore di quanto accennato è la disattenzione, la trascuratezza con cui si gestiscono le conoscenze, a meno che non si tratti di persone da cui si deve ricavare qualcosa...!
Ecco allora il richiamo: Attenzione all'attenzione!

Tutti abbiamo bisogno di avere dei riscontri. Abbiamo bisogno di sapere che cosa ciò che si è detto o fatto abbia prodotto nell'altro, non certo per ricercare gratificazioni, ma per quella sana esigenza di essere guidati, corretti, aiutati a vedere ciò che da soli non si può talvolta neppure intuire.
E invece è rarissimo che qualcuno ti si faccia incontro per farti sapere quel che la tua parola, il tuo silenzio, il tuo modo di essere ha suscitato in lui. Se questo avviene, è quasi sempre solo per farti notare che hai sbagliato, che hai detto/fatto un’insensatezza, ma quasi mai per sollecitarti, sostenerti, consigliarti perché tu sappia sempre più adeguatamente sviluppare e condividere le tue capacità.
Eppure nessuno è in grado di conoscere se stesso senza l’altro.

Occorre aver chiaro che una risonanza autenticamente libera è proporzionata allo spessore interiore.
Ecco allora la drammatica constatazione: l’assenza di una vita interiore fa sì che l’altro, la sua parola, il suo amore non suscitino nulla in me, perché io mi trovo accartocciato sul mio io e dunque mi comporto come se niente e nessuno possa interessarmi, penetrarmi, arricchirmi.
L’insignificanza interiore, con la pretesa autosufficienza che ne deriva, comporta pertanto la trascuratezza, l’indifferenza, quel grigio sentire che crea intorno un clima irrespirabile che soffoca ogni germe di vera vita, ovvero la costante fibrillazione per le mille cose da fare, che altro non sono che una squallida traduzione dell'individualistico bisogno di apparire.
Ma dovrebbe forse esserci qualcosa di più urgente che gustare e alimentari i valori autenticamente umani?
Nessuno ha il diritto di ”consumare” la vita, di spegnere l’amore. Quando ad una parola d’amore rispondiamo col mutismo, quando non sappiamo apprezzare il dono che l’altro ci fa di sé, quando invece che far fruttificare un gesto, una parola, un progetto rendiamo sterile quel che riceviamo, bruciamo con la nostra invidia, superbia, arroganza un bocciolo di vita: in modo non appariscente, ma non per questo meno violento, diveniamo protagonisti della “cultura dell’odio e della morte”.
La mancanza di attenzione amorosa, di gioiosa accoglienza di ciò che l’altro è, di entusiasmo per ciò che potrebbe essere, anche con il nostro aiuto, è un atto di carità abortito, è un frammento di vita consumato per sempre.
Ogni uomo ha bisogno dell’amore per vivere e non c’è nulla di prioritario rispetto al dare amore, al fare speranza, a dare fiducia a chi ci sta accanto.
Saper dire grazie a chi ci ha fatto del bene, saper riconoscere la gioia che ci è stata regalata, saper essere propositivi in relazione ad un consiglio che ci è stato richiesto o a un dubbio che ci è stato sottoposto: tutto questo è attenzione.
Saper prevenire il bisogno che ha l’altro di sapere se ciò che ha fatto-detto è stato positivo, saper correggere, saper suggerire è attenzione.
Saper aiutare l’altro a conoscersi, a crescere, sapersi stupire e gioire delle altrui bellezze e capacità è attenzione.
Lo sguardo empatico conosce, la parola d’incoraggiamento promuove le potenzialità di ciascuno. Un segno di attenzione amorosa equivale a fare speranza, perché sollecita l’altro ad essere e ad essere di più.
E allora, attenzione all’attenzione!
Se vogliamo essere persone viventi, esseri capaci di relazioni feconde, scegliamo uno stile di vita in cui l’attenzione a tutto/i guidi sempre più la mente, il cuore, le mani. Corrispondiamo generosamente a quanto ci viene offerto, perché lo scambio fecondo produca fiori di vita inattesi ma sempre possibili.

* il testo è alquanto datato; scritto non ricordo quando, è stato pubblicato in Fascino di essere, ed. Paoline 1998.