La persona è un essere relazionale,
chiamato al dialogo.
Tutta la vita dovrebbe essere un
cammino di crescita nel dialogo: a) con se stessi: consapevolezza del percorso
esistenziale da vivere; b) con gli altri:
rapporti di condivisione, di collaborazione, di amicizia; c) col mondo: capacità di saper vedere, di saper contemplare, di
saper costruire spazi più umani; d) con
Dio: preghiera e vita spirituale.
Solo approfondendo la dimensione
dialogica si va arricchendo la vita interiore. L’esigenza di rapporti profondi,
autentici non è pertanto un passatempo per estroversi, ma dovrebbe costituire
lo stile specifico di ogni persona che sceglie di vivere umanamente..
Spesso invece si stabiliscono
relazioni solo in funzione delle cose da fare e, esauritasi la motivazione che
ha determinato il cosiddetto incontro, tutto evapora in un inspiegabile e
mortifero nulla.
Ma un vero incontro è un evento, e
ogni evento è una nascita, una nuova vita che deve dar vita ad altra vita.
C’è pertanto da chiedersi perché
questo non avviene, o almeno non avviene che raramente.
Di questo immenso campo di indagine mi soffermerò sul ruolo dell’attenzione, che ritengo essenziale alla nascita e al consolidamento del
dialogo nelle sue svariate forme.
Il contesto in cui viviamo,
strutturato sulla fretta e sulla conseguente agitazione e superficialità, lo
stile egocentrico per cui l’io agisce
volto unicamente ad imporsi a costo di tutto, rischia di trasformare il nostro
vivere sociale in uno stato di aggressione continuata, in cui spesso le
migliori energie vengono disperse non tanto nel “fare Novità e Speranza”,
quanto nel difendersi da tutte le forme di prevaricazione in una società in cui
mantenersi interiormente liberi è già un’impresa titanica.
Tale abitudine allo scontro
quotidiano fa sì che non vi sia più tempo per l’incontro vero e, quand'anche si
realizzasse, è davvero raro che ci si impegni per alimentarlo adeguatamente
perché porti il suo frutto d’amore e di vita.
Causa e segno esteriore di quanto
accennato è la disattenzione, la trascuratezza con cui si gestiscono le
conoscenze, a meno che non si tratti di persone da cui si deve ricavare
qualcosa...!
Ecco allora il richiamo: Attenzione all'attenzione!
Tutti abbiamo bisogno di avere dei
riscontri. Abbiamo bisogno di sapere che cosa ciò che si è detto o fatto abbia
prodotto nell'altro, non certo per ricercare gratificazioni, ma per quella sana
esigenza di essere guidati, corretti, aiutati a vedere ciò che da soli non si
può talvolta neppure intuire.
E invece è rarissimo che qualcuno ti
si faccia incontro per farti sapere quel che la tua parola, il tuo silenzio, il
tuo modo di essere ha suscitato in lui. Se questo avviene, è quasi sempre solo
per farti notare che hai sbagliato, che hai detto/fatto un’insensatezza, ma
quasi mai per sollecitarti, sostenerti, consigliarti perché tu sappia sempre
più adeguatamente sviluppare e condividere le tue capacità.
Eppure nessuno è in grado di
conoscere se stesso senza l’altro.
Occorre aver chiaro che una risonanza
autenticamente libera è proporzionata allo spessore interiore.
Ecco allora la drammatica
constatazione: l’assenza di una vita interiore fa sì che l’altro, la sua
parola, il suo amore non suscitino nulla in me, perché io mi trovo
accartocciato sul mio io e dunque mi comporto come se niente e nessuno possa
interessarmi, penetrarmi, arricchirmi.
L’insignificanza interiore, con la
pretesa autosufficienza che ne deriva, comporta pertanto la trascuratezza,
l’indifferenza, quel grigio sentire che crea intorno un clima irrespirabile che
soffoca ogni germe di vera vita, ovvero la costante fibrillazione per le mille
cose da fare, che altro non sono che una squallida traduzione dell'individualistico bisogno di apparire.
Ma dovrebbe forse esserci qualcosa di
più urgente che gustare e alimentari i valori autenticamente umani?
Nessuno ha il diritto di ”consumare”
la vita, di spegnere l’amore. Quando ad una parola d’amore rispondiamo col
mutismo, quando non sappiamo apprezzare il dono che l’altro ci fa di sé, quando
invece che far fruttificare un gesto, una parola, un progetto rendiamo sterile
quel che riceviamo, bruciamo con la nostra invidia, superbia, arroganza un
bocciolo di vita: in modo non appariscente, ma non per questo meno violento,
diveniamo protagonisti della “cultura
dell’odio e della morte”.
La mancanza di attenzione amorosa, di
gioiosa accoglienza di ciò che l’altro è, di entusiasmo per ciò che potrebbe
essere, anche con il nostro aiuto, è un atto di carità abortito, è un frammento
di vita consumato per sempre.
Ogni uomo ha bisogno dell’amore per
vivere e non c’è nulla di prioritario rispetto al dare amore, al fare speranza,
a dare fiducia a chi ci sta accanto.
Saper dire grazie a chi ci ha fatto
del bene, saper riconoscere la gioia che ci è stata regalata, saper essere
propositivi in relazione ad un consiglio che ci è stato richiesto o a un dubbio
che ci è stato sottoposto: tutto questo è attenzione.
Saper prevenire il bisogno che ha
l’altro di sapere se ciò che ha fatto-detto è stato positivo, saper correggere,
saper suggerire è attenzione.
Saper aiutare l’altro a conoscersi, a
crescere, sapersi stupire e gioire delle altrui bellezze e capacità è
attenzione.
Lo sguardo empatico conosce, la
parola d’incoraggiamento promuove le potenzialità di ciascuno. Un segno di
attenzione amorosa equivale a fare speranza, perché sollecita l’altro ad essere
e ad essere di più.
E allora, attenzione all’attenzione!
Se vogliamo essere persone viventi, esseri capaci di relazioni
feconde, scegliamo uno stile di vita in cui l’attenzione a tutto/i guidi sempre
più la mente, il cuore, le mani. Corrispondiamo generosamente a quanto ci viene
offerto, perché lo scambio fecondo produca fiori di vita inattesi ma sempre
possibili.
* il testo è alquanto datato; scritto non ricordo quando, è stato pubblicato in Fascino di essere, ed. Paoline 1998.