Intervista
“immaginaria” (ma non troppo)
a Georges
Bernanos
Quando la ragione sembra
ormai definitivamente incapace a spiegare, a raccontare, a far conoscere per
far vivere, occorre il dialogo profondo[1] nelle forme della poesia, della fede,
dell’immaginazione creativa, per continuare ad alimentare quella sete di
verità, quella fame di sapere e di amare, che costituisce il dinamismo vitale
di ogni persona, anche se talvolta in modo inconsapevole.
E così si rivela l’urgenza
di praticare moduli di comunicazione che possano “interessare”, spazi in cui le
parole dette o scritte vengano non solo lette, ma anche “ascoltate” e non si
riducano a sciabordii verbali o a “crucidiscorsi”, ineccepibili dal punto di
vista logico, ma del tutto privi d’interesse vitale per chi legge e, in fondo,
anche per chi scrive.
Far conoscere il pensiero,
la vita, la produzione di uno scrittore oggi. Come? come interessare? quale
linguaggio utilizzare? quale modalità comunicativa?
Troppe parole sono state dette su tutto e su tutti: le problematiche
letterarie sono state sviscerate, gli autori interpretati, le opere analizzate
nei più microscopici dettagli, e lo stesso concetto di “letteratura” ha
generato un ennesimo filone inarrestabile di ipotesi interpretative e di scuole
di pensiero e non, intessute di molti autorevoli discorsi e di innumerevoli,
spesso oscurissime, parole.
E tutto giunge sul
mercato. Le opere d’arte vengono utilizzate come oggetti, solo per poter
sperimentare o giustificare sempre più sofisticate griglie d’interpretazione
per ogni nuovo lettore, improvvisatosi critico letterario.
E così saggi su saggi… e
monografie… e libri. Quanti libri! perfino quelli… gonfiabili!
Ma siamo ormai tutti, più
o meno consapevolmente, saturi di parole “mute”, di dissertazioni inanimate, di
dimostrazioni troppo logiche per essere “vere”.
Il “critichese”[2]
profuma (o maleodora?) di linguaggio abusato, di cui è necessario servirsi per
comprendersi (si fa per dire!) in certi ambienti sedicenti culturali, per «confermare la propria appartenenza alla
corporazione»[3]. Ma tale linguaggio non
comunica nel profondo; si limita ad operare sofisticate elaborazioni in cui i
testi, gli scrittori, così come ogni esperienza umana vengono ridotti a dati da
“consumare”.
Non
voglio certo sminuire l’innegabile arricchimento apportato da ogni studio
serio, qualunque sia la metodologia praticata, ma occorre sempre ricordare che
è anche il “cuore” della persona, la sua interiorità che hanno bisogno di
essere alimentati, e non soltanto la razionalità[4].
Chiunque rifiuti di «vivere alla superficie di se stesso»[5] e non
accetti di lasciarsi materializzare dalla banalità e dall’inessenziale aspira
alla pienezza, allo sviluppo integrale di tutto il suo essere, in ogni sua potenzialità.
C’è, in chi vuole vivere
umanamente[6], un
bisogno vitale di esperienze di verità, di testimonianze di speranza, di esempi
convincenti che, dal più profondo di sé, ridonino il gusto di vivere, ripropongano,
come irrinunciabile, il rischio di amare.
Dall’urgenza di un
coinvolgimento personale realmente significativo nasce questa “immaginaria”[7]
intervista a Georges Bernanos.
Fin dalla prima lettura
dei testi di questo scrittore, ho fatto l’esperienza di trovarmi in un mondo
che mi era familiare, in uno spazio in cui mi riconoscevo ogni giorno di più e
in cui ogni parola o silenzio dilatavano segretamente, ma profondamente e
smisuratamente il mio spazio interiore.
L’autore del Journal è qualcuno che mi ha svelato
qualcosa del mistero della vita e della mia esistenza personale. Desidero
pertanto che quella parte di verità che lo scrittore ha custodito in sé e
trasmesso attraverso la sua opera possa, anche oggi, essere offerta a chi sia
disponibile a volerla ricevere.
La parola di Bernanos, che
ci giunge attraverso la sua scrittura, sia quella “sognata” nei romanzi, o
quella violenta e consapevolmente “vissuta” nella storia politica e culturale
della “sua” Francia, è una parola fortemente attuale, viva, che interroga anche
oggi il lettore attento, perché il presente, che stava a cuore allo scrittore,
era certo quello del suo tempo, ma non era limitato soltanto ai
“fatti-del-giorno”, di cui peraltro egli non accettava di essere solo uno spettatore
passivo.
«Io non sono quello che guarda il mondo come uno spettacolo divertente,
ma vi difendo la mia “querelle” con
passione, con rabbia, con fuoco, con tutta la mia anima, con tutta la mia vita»[8].
Romanzi, saggi o lettere,
i testi di Georges Bernanos interessano il lettore attento per la loro
attualità, perché essi testimoniano di un’esperienza umana di rara autenticità,
alimentata da una costante e appassionata ricerca della verità, da un urgente
e tenerissimo bisogno di amare e da una generosa, quanto gratuita solidarietà
con gli uomini.
«Appartengo con tutta l’anima al doloroso
gregge degli uomini. Vorrei saperli amare abbastanza, per compatire la loro
miseria e non per utilizzarli, anche se fosse a fini edificanti»[9].
In un contesto strutturato
sulla banalità e sul compromesso, una parola che abbia il coraggio di essere
fuoco che vuol consumare l’anonimato, sale[10] che
disinfetta il putridume del cuore umano, ammalato di menzogna, è parola
scomoda, ma anche alternativa.
Bernanos e il suo stile di
vita, coerente con la sua fede, non può certo essere accolto dal grosso
pubblico, ma, in piena consapevolezza, egli sceglie di rivolgersi a quei pochi
per i quali è nato e a cui deve consegnare quella parte di verità di cui si
riconosce il depositario[11].
Ciò che ha sempre interessato l’autore del Journal è la persona umana, perché «il Verbo si è fatto carne»[12], perché Dio si è fatto uomo e, da instancabile
cercatore della verità, ha fatto della sua attività di scrittore una costante
testimonianza dei valori della interiorità, vivendo la scrittura come uno
spazio di comunicazione col lettore, che egli vuole risvegliare perché, nella
consapevolezza e nella scelta del rischio, scelga di vivere a livelli
autenticamente umani: «Mi sono sempre
sforzato di svegliare quelli che dormono e di impedire agli altri di
addormentarsi. È questo un compito che non comporta grandi profitti né grandi
onori e che, anzi, vi preclude molte strade. Ma non importa!»[13].
Alla luce di quanto
affermato finora, ho scartato l’ipotesi del solito saggio, più o meno valido
scientificamente, ma quasi sempre del tutto estraneo agli interessi più
profondi di me-persona che scrivo e di te-lettore che leggi per meglio
conoscerti e dunque per essere-di-più.
Ho voluto adottare la
forma del dialogo, attraverso cui spero di far emergere quanto ritengo
costitutivo di Bernanos, consentendogli, per mezzo delle citazioni tratte
fedelmente dai suoi testi (da me tradotte e utilizzate nell’intervista), di
essere lui stesso a comunicarsi al lettore in modo diretto, con quella verità
che è propria di ciò che sgorga dal profondo e non è stata ancora del tutto
definita da schemi puramente concettuali che, certo spiegano, ma insieme
“consumano” ciò che è vero.
Questa “intervista
immaginaria” ha pertanto la pretesa
di essere vera e «vivante»[14].
Ritengo infatti che sia una formula valida per “incontrare” lo scrittore ed
imparare a conoscerlo; ma anche per chi già lo conoscesse, si tratterà di una
modalità di rilettura capace di far penetrare più in profondità nell’universo
bernanosiano, giacché le parole dello scrittore (e non i discorsi su quelle
parole) risuoneranno di novità, proprio perché non utilizzate per verificare
ipotesi critiche, né per sperimentare griglie di lettura più o meno originali.
Si può affermare di
Bernanos quanto egli ha scritto di Charles Péguy: «È un uomo che, anche se morto, resta a portata di voce, resta alla
portata di ciascuno di noi. È un uomo che risponde ogni volta che lo si chiama»[15].
Sarà pertanto Georges
Bernanos a parlare, a comunicarsi con immediatezza, per scuotere chi lo ascolta
dal sonnambulismo spirituale: «Ho giurato
di commuovervi – con l’amicizia o con la collera, che importa?»[16].
Sto per raggiungere il Café de la Rode[17],
dove so di poter intervistare Georges Bernanos.
Voglio
incontrarmi con chi si definisce un vagabondo, un povero forse, qualcuno che
non ricerca la sicurezza ad ogni costo, ma solo la fedeltà a se stesso, alla
propria personale vocazione.
Attendo quest’incontro con
la certezza che quanto Georges Bernanos dirà avrà il gusto dell’autenticità, il
sapore delle realtà vive e vissute, le sole capaci di toccare il profondo di
chi ascolta.
È lì, con quel suo
quaderno «da due soldi» fra le mani, intento a scrivere con
tutta la persona.
Mi risuonano dentro le sue
parole: «Occorre che la mia vocazione, il
mio lavoro e la mia vita siano una cosa sola»[18].
Sì, più lo guardo e più
comprendo che Bernanos ha vissuto questa unità che, se vera, si manifesta
sempre: è lì, dinanzi alla pagina, ed è tutto il suo corpo – e perfino le sue
stampelle –, così come tutta la sua intelligenza e la sua interiorità, che
danno forma alla sua scrittura.
Non voglio interromperlo e
mi fermo presso il tavolo e guardo quella pagina, la grafia regolare, come se
fosse ritmata, le numerose cancellature e sostituzioni, e sento, quasi
fisicamente, la fatica e la serietà del suo impegno di scrittore.
Pur immerso nel suo
“sogno”, la sua ipersensibilità gli fa avvertire la mia presenza e solleva il
capo, lentamente.
Incontro i suoi occhi, di
un blu che non ho mai visto; trasmettono una luce intensa e sembrano aperti su
spazi invisibili. Il suo sguardo diretto, sincero, penetrante, trasparente,
incredibilmente profondo mi avvolge e mi penetra dentro. Mi suggerisce l’impressione
viva, quasi fisica del soprannaturale.
Sono qui per fargli delle
domande, ma credo che non riuscirò a parlare: sono “afferrata” dal suo
raccoglimento, che traspare da ogni tratto. Sento fortemente il suo sconfinato
silenzio, che rende insignificante ogni balbettio che tento di formulare.
Ma il suo volto silenzioso
e composto si apre all’improvviso in una risata prodigiosamente contagiosa, e
con la sua voce calda ed amichevole mi chiede: “E allora? quest’intervista?”
°
° °
malb. Monsieur Bernanos, vorrei sapere tutto di lei, vorrei conoscere
il segreto del suo sguardo e la causa della sua veemenza; vorrei che lei mi parlasse
della sua soffocante angoscia e insieme della sorgente della sua incrollabile
speranza.
Ma per sapere tutte queste cose non so
proprio che domande porle.
Ecco, forse potremmo partire dal luogo
dove ci troviamo, giacché è stato detto – e opportunamente – che, per lei, il
«carnale», il «quotidiano» sono lo spazio del soprannaturale.
Perché scrive nei caffé?
gb. Scrivo nei caffé col rischio di passare per ubriacone. Scrivo sui tavoli
dei caffé percbé non saprei fare a meno, per lungo tempo, del viso e della voce
umana.
I maldicenti sono liberi di presumere che io osservo. Io non osservo affatto.
Scrivo nelle sale dei caffé così come un tempo scrivevo nei vagoni ferroviari,
per non essere ingannato da creature immaginarie, per ritrovare, con uno
sguardo posato sullo sconosciuto che passa, la giusta misura della gioia o del
dolore[19].
malb. Non si tratta quindi di una passiva descrizione della realtà,
quanto di ritrovare, in ciò che esiste, quella dimensione più vera che è al di
là e al di sopra delle apparenze e che, pur tuttavia, il visibile ci fa in
qualche modo intuire, ci rende quasi concreto; riscoprire il vero volto dell’uomo;
ritrovare ciò che è nel suo profondo, quella parte di verità di cui ciascuno è
depositario – come lei afferma – e che, sola, apre alla possibilità di
un’autentica comunione fra le persone.
gb. Un uomo è per me un uomo solo per
quella parte di verità che è in lui. Un eroe o un santo è, in primo luogo, un
uomo che non mente[20].
malb. La verità. Ecco la parola che volevo sentirle dire.
Credo che ciò che anima intimamente la
sua opera e tutta la sua vita sia proprio questa costante, fedelissima ricerca
della verità, che si incarna come fuga da ogni menzogna, come denuncia di ogni
impostura o compromesso, sotto qualsiasi forma si presenti.
gb. La verità somiglia al sole: se ne
parla con molta simpatia, ammirazione ed anche con devozione, ma si è subito
stanchi di guardarla in faccia[21].
malb. La maggior parte degli uomini – anche di quelli che si dicono
cristiani – vivono da ciechi, da muti. Vedono solo aspetti parcellizzati della
realtà; dicono delle mezze verità, delle verità edulcorate, tradite… Delle
menzogne. Anche e soprattutto oggi si vive nell’ipocrisia.
gb. Lo scandalo, infatti, non è di dire la
verità, ma di non dirla tutta intera, di introdurvi, per omissione, una
menzogna che la lascia intatta al di fuori, ma che, come un cancro, le rode il
cuore e le viscere[22].
malb. Lei condanna, in modo inequivocabile, ogni forma di confort,
qualsiasi pseudosicurezza, in quanto non dà spazio all’interiorità della persona
ma, piuttosto, ne paralizza le energie più profonde, chiudendola così alla
dimensione soprannaturale, che è la sua verità più intima.
gb. Tutte le malattie mortali, pur nella
loro diversità, presentano un unico ultimo stesso fenomeno: l’arresto del
cuore. Non vi è molto da aggiungere: la vostra società morirà nello stesso
modo. Voi discuterete ancora dei “perché” e dei “come” e già le arterie non batteranno più[23].
malb. Così come Péguy, lei rimprovera allo stato moderno, agli «imbecilli» di eliminare il «rischio»
dall’avventura umana, svuotando la persona di ogni interiorità, ossia di quella
parte profonda dell’essere dove, nella libertà, si operano le scelte autenticamente
serie.
gb. Non si capisce assolutamente niente
della società moderna se non si ammette che essa è una cospirazione universale
contro ogni specie di vita interiore[24].
malb. Sembra proprio che l’ideale del mondo moderno sia di eliminare
ogni rischio, di programmare – fino alla morte – ogni brandello di vita, ogni
spazio ed ogni istante, perfino il tempo libero, perfino la propria vita
interiore. Non si vuole più correre il rischio di sognare, di sperare, perché
non si ha più il coraggio né il gusto di vivere.
gb. Lo Stato pagano è risuscitato. Ciò
significa che un numero sempre crescente di uomini rifiutano la parte eroica
della vita, rifiutano di scommettere, con Pascal, per i valori eterni [25].
Essi, nella loro tragica solitudine, hanno fatto silenziosamente, nei
confronti del soprannaturale, il patto dei tempi di peste: pensarvi il meno
possibile e non parlarne mai [26].
malb. Da quanto lei afferma, signor Bernanos, risulta chiaramente
manifesta la sua convinzione circa il pericolo mortale per l’uomo di disperdersi
nel benessere, nei sofisticatissimi prodotti di una civiltà tecnologica che fa
dell’uomo un’altra macchina: una macchina di bisogni da soddisfare.
Ma non è solo lo pseudo benessere
materiale a preoccuparla. Tutti i suoi testi sono infiammati dalla collera
contro ogni forma di indifferenza spirituale, contro ogni confort che concerne
la dimensione religiosa, contro una verità bell’e fatta, contro una verità anonima,
che dà sicurezza solo ai fantocci, agli imbecilli, contro una verità vecchia,
soffocante, morta.
gb. Per non aver vissuto la vostra fede,
essa non è più viva; è divenuta astratta, è come disincarnata. Forse troveremo
in questa disincarnazione del Verbo la vera causa delle vostre disgrazie.
Io ho sempre pensato che il mondo moderno peccava contro lo “spirito d’infanzia” e che questo crimine lo avrebbe fatto morire
[27].
malb. La verità, così come lei la intende, signor Bernanos, non esclude
la ricerca sofferta, il rischio, la solitudine, la speranza...
gb. È proprio così.
Non si propone la verità agli uomini come una polizza di assicurazioni o
un purgante[28].
La religione ha perduto la sua anima. Essa si è codificata. La maggior parte
dei cattolici considerano i Vangeli solo come un codice morale, che promette
loro la salvezza eterna, come ricompensa di un’onesta esecuzione del dovere
sociale. E però! Essi non capiscono o non vedono nulla. Noi siamo circondati
di soprannaturale. Noi vi siamo immersi… Noi viviamo nel meraviglioso, e nel
soprannaturale. Ma l’uomo può accorgersene soltanto quando è se stesso. E
l’uomo vive quasi sempre al di sotto di se stesso. L’uomo si ritrova solo
nell’eroico: il soldato al fronte, il corridore durante la corsa, l’amante
nella passione sono veri e conoscono la verità e le dimensioni del mondo.
Tutti gli altri si trascinano nella menzogna. Tutti gli altri sono dei ciechi.
Nel giorno del giudizio, quale stupore, quale fallimento per loro nel
sapere, nell’apprendere, nel comprendere che essi non si sono mai serviti del
loro “io”! Che punizione! [29]
Pochi uomini rinnegano del tutto la loro verità, forse nessuno. Ma essi si
accontentano di temperarla, di smorzarla, di diluirla. «Mettono dell’acqua nel loro Vino»[30].
malb. E Georges Bernanos? Qual è il suo rapporto con la verità?
gb. Io ho ricevuto la mia parte di verità
come ciascuno ha ricevuto la sua, e ho capito solo molto tardi che io non vi
aggiungerò nulla, che la mia sola speranza di servirla è di conformarvi la mia
testimonianza e la mia vita [31].
malb. Essere fedele alla verità equivale dunque per lei ad essere fedele
a se stesso, alla sua identità più vera, ossia alla sua vocazione. È facile vivere
cosi?
gb. Io penso che la
vocazione sia un rischio; essa è il rischio stesso della vita[32].
malb. Come si armonizza, signor Bernanos, questa sua urgenza di servire
la verità, di essere fedele a se stesso, con il suo mestiere di scrittore?
gb. Il mestiere letterario non mi tenta. È
il solo mezzo che mi è dato di esprimermi, ossia di vivere. Per tutti una
dilatazione, una liberazione dell’uomo interiore, ma qui qualcosa di più: la
condizione della mia vita morale [33].
Io non sarò mai nient’altro che uno scrittore francese che dice la verità e
che andrà «fino in
fondo» al suo rischio [34].
malb. La scrittura è allora la sua vocazione?
gb. Una vocazione di scrittore è spesso –
o piuttosto talvolta – l’altro
aspetto di una vocazione sacerdotale. Così vissuto il mestiere di scrittore non
è più un mestiere: è un’avventura, è, innanzitutto, un’avventura spirituale [35].
Io e i miei libri siamo una cosa sola [36].
malb. Un’avventura spirituale? Ma sono parole troppo inattuali!
Oggi non si parla più di avventura, si
discute soltanto di programmi; non si parla più di spirito, si chiacchiera
soltanto di materia, di programmi, di prodotti, di oggetti da consumare.
(Ma Bernanos sembra non
ascoltarmi e – come immerso in uno spazio tutto suo – continua a parlare).
gb. Io posso benissimo dubitare di essere
un vero scrittore, poiché quattro anni di guerra non mi hanno convinto di
essere un vero militare e, ancor oggi, la presenza dei miei sei figli non mi
dato la convinzione che io sia un vero padre di famiglia. Padre, scrittore o
soldato, ho sempre l’impressione di non conoscere bene il mio mestiere, o
almeno di ignorarne il fondamento, di aver fallito il mio apprendistato.
Io arrivo alla fine del mio compito come alla fine di addizioni troppo
lunghe e complicate, finisco per contare sulle dita, – è certo che il buon Dio
troverà sbagliate le mie soluzioni.
Questo convincimento non dona molta dignità alla vita, tuttavia non mi
spinge alla disperazione, perché io mi chiedo se poi, alla fine, qualcuno
conosce, fino in fondo, il suo mestiere, se c’e in fondo un mestiere. Le
persone un bel giorno si dicono: “Io sono un militare, io sono uno scrittore, io sono un padre” e ne compiono i gesti con una dignità
imperturbabile, che appare quasi naturale.
Io posso davvero dubitare di essere un vero scrittore. Io scrivo come
soffro o come spero, e se non sono un buon giudice dei miei
scritti conosco la mia speranza e la mia sofferenza [37].
Io non pretendo giustificare i miei libri con la mia vita, né la mia vita
con i miei libri; vorrei che la mia vita e i miei libri potessero essere così
facilmente accessibili, da condurvi a me attraverso la strada più breve.
Lo strumento di cui mi servo è odioso, perché io sono maldestro, e quando
mi succede di utilizzarlo abilmente, nove volte su dieci, riesco a soddisfare
solo i conoscitori, gli iniziati. Ma non importa! È il mio strumento, ed è il
solo di cui dispongo; d’altronde non meritavo che il buon Dio me ne designasse
uno diverso; so perfettamente che un santo sorriderebbe di questo povero mezzo
per toccare i cuori. Ma è il mio strumento.
Di solito coloro che praticano il mio mestiere si lamentano di non poter
trascrivere, con la loro penna, che una parte irrilevante del loro mondo
interiore, di cui conservano il segreto. Io non posso certamente dirmi un buon
giudice del mio mondo interiore, in cui sono forse ingannato da un semplice
errore di prospettiva, poiché non l’ho mai visto dal di fuori e non mi ci sono
forse mai del tutto ben assestato. D’altronde non vi ho costruito quasi nulla
dopo tanti anni…Vi abito come un naufrago in un’isola, come un bimbo in un
giardino.
E invece di avere l’impressione di esprimere solo una parte minima dei
sentimenti che mi animano, io mi stupisco che essi abbiano potuto fornire la
materia di un’opera, io non so per quale dono, per quale miracolo! È questo
dono che io vorrei condividere, è la sola elemosina che io possa fare, ed è
precisamente questo l’intrasmissibile, l’incomunicabile [38].
Io non sono
uno scrittore [39].
L’estrema benevolenza del pubblico nei miei confronti non mi convincerà di
essere uno scrittore professionista. La mia opera vale quel che vale, ma non è
un teatro ben organizzato, in cui gli spettatori vengono per distrarsi e in
cui io stesso vado per impegnarmi a distrarli, ossia per cercare di guadagnarmi
la vita.
La mia opera sono io stesso, è la mia casa.
Io vi parlo con la pipa in bocca, il vestito ancora inzuppato dall’ultimo
temporale ed i miei stivali che fumano dinanzi al focolare.
Per rivolgermi a voi, non mi curo neppure di passare da una stanza
all’altra; vi scrivo dalla stanza comune, sul tavolo dove cenerò fra poco con
mia moglie e i miei figli. Fra voi e me non vi è neppure il
solito tramite di una biblioteca, perché io non ho libri. Tra voi e me vi è
soltanto questo quaderno da due soldi. Per questo prezzo posso darvi soltanto
la verità [40].
malb. Questa ricerca ed urgenza di comunicazione della verità si confonde
in lei, signor Bernanos, con l’impegno sofferto della pratica di una scrittura
attraverso cui comunicare col suo lettore. Cosa vuol dirmi, su quest’argomento?
gb. Non si può negare: l’Arte ha un fine
che non è l’arte stessa. La sua perpetua ricerca dell’espressione non è che
l’immagine indebolita, o come il simbolo, della sua perpetua ricerca
dell’Essere [41].
malb. La ricerca della verità è allora un andare sempre più nel cuore
delle persone, delle cose, delle situazioni, nel cuore del mondo; è un
immergersi nel “sogno” per ritrovare
la verginità del reale e quell’originaria armonia fra corpo e spirito, per cui
tutto: indecisione e coraggio, passione ed ascesi, desiderio di benessere e
sete di santità, tutto si ritrova nell’uomo non in caotica confusione, ma in
una “multidimensionalità”, che non fa che rendere evidente un soprannaturale
incarnato. È per comunicare tutto questo che lei si serve del «linguaggio dell’infanzia?»[42].
gb. Sì. È proprio così.
Di questo linguaggio dell’infanzia dimenticato, ricercato di libro in
libro mi capita talvolta di ritrovare qualche accento; ed è questo che rende
attento il vostro orecchio, o compagni dispersi nel mondo, che, per caso o per
noia, avete un giorno aperto i miei libri [43].
malb. Non è infatti fuori dell’opera che va cercata la sua «profondeur». La sua scrittura può
intendersi come «graphie»[44],
ossia come un tentativo unico, insieme estetico, etico e teorico di decifrare
il mistero del mondo, attraverso i mezzi offerti dal linguaggio. Ma questo
linguaggio dell’infanzia di cui lei parla, può suggerire interpretazioni
assolutamente infondate.
Alcuni si sono, infatti, ostinati a
vedervi soltanto un linguaggio che rievoca, un linguaggio del ricordo, del
passato, un linguaggio dell’innocenza perduta. Ma io non credo che si tratti
proprio o solo di questo.
Io vi leggo un segno evidente di
urgenza di verità, di fedeltà all’Essere, all’interiorità della persona, alla
sua vocazione.
Cerco di spiegarmi: se ciò che la
interessa è toccare il “cuore” del lettore, risvegliarlo, sollecitarlo a
“vedere” ciò che lei vede, la parola che lei dice deve squarciare lo spesso
strato della banalità, deve scaturire dall’interiorità più profonda, manifestare
la realtà più consistente dei personaggi-situazioni-mondo e raggiungere il
cuore, il centro, l‘interiorità di chi legge.
Assolutamente nulla in comune,
pertanto, con un linguaggio anonimo, stereotipato, materializzante.
Penso inoltre che questo sia uno dei
motivi per cui il suo linguaggio dell’infanzia delude abbondantemente coloro
che si aspettano un tono caramellato fra il rosa e il celeste, e sentono, al
contrario, tuonare il fulmine della coerenza con violenta passionalità.
I suoi testi non sono certo acqua di
lago stagnante, ma torrenti impetuosi…
gb. Già, e non potrebbe essere che così.
C’è nell’espressione dell’uomo interiore un’agitazione oceanica,
un’angoscia di perfezione, che è un cammino senza fine, il cammino della creazione
in vista dell’eternità [45].
malb. Quindi non si tratta di raccontare né di raccontarsi.
gb. Assolutamente no.
L’opera dell’artista non è mai la somma delle sue sofferenze, dei suoi
dubbi, del bene e del male di tutta la sua vita, ma la sua vita stessa trasfigurata,
illuminata, riconciliata [46].
malb. Riconciliazione. Ecco un’altra parola di verità che lei mi ha
reso parlante, signor Bernanos: la riconciliazione con gli altri, col mondo,
con Dio.
gb. Già. Come afferma il mio
curato, il primo dovere è di riconciliarsi con se stessi [47].
malb. Ma questa strada di liberazione interiore, di pacificazione,
di unificazione del proprio essere non è facile, né è facilmente percorribile
da soli. Che ruolo può avervi la scrittura letteraria?
gb. Ciò che noi oggi domandiamo al poeta
non è di proporci dei modelli; è proprio di riconciliarci con noi stessi, di
associare strettamente la sua arte ai nostri fallimenti, alle nostre
disgrazie, alle nostre rivolte, alla nostra speranza [48].
malb. Ma ogni autentica riconciliazione non richiede un’umiltà profonda?
una vera semplicità del cuore?
gb. Sì. E la vera umiltà è anzitutto
equilibrio. Non ci si contorce per diventare umili, come un grosso gatto per
entrare nella trappola dei topi [49]. Dubitare di sé non è umiltà. Credo che sia la forma più esaltata, quasi
delirante dell’orgoglio, una specie di ferocia gelosa che fa rivoltare un
disgraziato contro se stesso, per divorarsi. Il segreto dell’inferno deve
essere questo [50]. Pertanto non disprezzatevi mai! È estremamente difficile disprezzarsi
senza offendere Dio in noi: il disprezzo di sé porta dritto alla disperazione[51]. Inoltre
odiarsi è più facile di quanto si creda. La grazia è di dimenticarsi. Ma se
ogni orgoglio fosse morto in noi, la grazia delle grazie sarebbe di amarsi
umilmente, come uno qualunque dei membri sofferenti di Gesù Cristo [52].
malb. Gesù… Ma per lei, chi è Gesù?
gb. Gesù non è venuto come vincitore, ma
come supplice. Egli è come rifugiato in me, sotto la mia custodia, e io
rispondo di Lui dinanzi a Suo Padre. Io penso a Lui ed è me stesso che scopro a
poco a poco, così come un altro Lui-stesso, nel fondo del pantano in cui ancora
io mi agito[53].
malb. Una fra le accuse più frequenti rivolte ai credenti è che
l’attenzione a Dio si risolve nell’ignoranza del proprio io. Lei afferma, al
contrario, di ri-conoscersi, di
ritrovarsi solo in Cristo, e quindi testimonia una fede non astratta, ma una
fede profondamente incarnata nella sua esistenza, che proprio e solo da questa
fede riceve il suo senso ed il suo sapore.
gb. Io riconosco più che mai che la vita,
anche con la gloria che è la più bella cosa umana, è una cosa vuota e senza
sapore quando non vi si mescola sempre, assolutamente, Dio [54].
malb. Lei è uno scrittore “impegnato“, sia nel dar corpo al suo
immaginario in quanto romanziere, sia nella realtà della storia politico-culturale
della sua Francia, in una parola sia nel suo “sogno” che nella sua “realtà”. È
marito e padre affettuoso, ma lei è, innanzitutto, “homo religiosus”, nel senso proprio del termine: lei è cattolico
di razza e d’istinto, come amano dire, i suoi amici[55].
La sua fede è la sua forza. Ed è
questa fede incarnata, creatrice, vitale che informa la sua esistenza e genera
ed alimenta la sua attività di scrittore, che s’inserisce in modo unico nel
mistero della Salvezza, in quanto scrittura-parola che vuole guarire
dall’impostura, dall’ipocrisia e che vuole ricordare all’uomo, privo di
speranza, che c’è un Dio che salva, perché Lui è la Vita e, incarnandosi, vuole
donare questa vita a tutti, perché ciascuno l’abbia in abbondanza.
gb. Sì, è questa la mia fede.
Ma il più difficile dei problemi – o anche il solo da risolvere – è di
dare ad un mondo degenerato la volontà, o anche soltanto il gusto della salvezza[56].
malb. Per uscire da un atteggiamento di autosufficienza e accettare «una volta per tutte la tremenda presenza
del divino in ogni istante della propria povera vita»[57]
occorre uscir fuori dalla massa degli “imbecilli”, ossia degli uomini che si
rifiutano di “rischiare”.
gb. Molti uomini non impegnano mai il
proprio essere, la propria sincerità profonda.Vivono alla superficie di se
stessi.
Quanti uomini non avranno mai la più piccola idea dell’eroismo
soprannaturale, senza il quale non c’è vita interiore. Ed è proprio su questa
vita che saranno giudicati. Allora, spogliati dalla morte di tutte quelle
membra artificiali che la società fornisce alle persone della loro specie, si
ritroveranno quali sono, quali erano a loro insaputa: degli spaventosi mostri
non sviluppati, degli aborti di uomo [58].
E sono i santi, che tengono viva questa vita interiore, senza la quale
l’umanità si degraderà fino a morire [59].
malb. Ma che cos’è per lei la santità?
gb. La santità non ha formule, o meglio le
ha tutte. Essa riunisce ed esalta tutte le forze, essa realizza la
concentrazione orizzontale delle più alte fecondità dell’uomo.
La vita di un santo non è pertanto una vita sminuita, in cui la mortificazione
immiserisce incessantemente, ma è, al contrario, la vita nella sua effusione
e,come se fosse allo stato originario, la vita stessa, come una sorgente
ritrovata [60].
malb. E che cos’è il contrario della santità?
gb. Non vi è che un errore ed una
disgrazia al mondo: è non saper amare abbastanza [61].
L’inferno è non amare più [62].
malb. Il suo universo romanzesco è intriso di angoscia, di follia,
di sofferenza e menzogna, eppure non è mai un universo chiuso e – in modo
incomprensibile – la gioia vi affiora misteriosamente. Certo non si tratta
della facile gioia procurata dal piacere a buon mercato, né di quella perversa
gioia che si gusta nella sopraffazione o nell’ipocrisia, ma di una gioia di un
altro ordine, una gioia che si origina proprio nel cuore della sofferenza.
gb. La Gioia viene da una parte
troppo profonda dell’anima perché le sue radici non affondino nella sofferenza,
che è la parte più profonda dell’uomo da quando ha perduto il paradiso [63].
malb. È per questo motivo che la sofferenza è così presente nei suoi
romanzi?
gb. Chiunque ricerchi la verità dell’uomo
deve appropriarsi del suo dolore, per il divino prodigio della compassione. E
da quel momento, che importa conoscerne o no le sorgenti impure? [64].
malb. Cosa vorrebbe dire, signor Bernanos, ad uno sconosciuto lettore
triste, sfiduciato, che non conosce il sapore-valore della vita, che non si
conosce nella sua verità più autentica?
gb. Mio vecchio compagno, non essere
triste!
La strada dinanzi a noi è forse ancora molto bella. Noi vi vedremo sorgere
dei grandi mattini, grandi e puri, più grandi e più puri della nostra
giovinezza, ormai cancellata. In ogni modo la strada è lì, valga quel che
valga, e finirà per scivolare nella dolce eternità [65].
malb. Il suo universo romanzesco è cupo, i suoi scritti «de combat» fortemente violenti, le sue
parole, adesso, dolci e luminose. Georges Bernanos, lei è pessimista oppure
ottimista?
gb. Il termine pessimismo, ai miei occhi,
non ha più senso del termine ottimismo, che solitamente gli si oppone.
Il pessimista e l’ottimista hanno in comune il fatto che non vedono le
cose così come sono: l’ottimista è un imbecille felice, il pessimista è un imbecille
disgraziato [66].
malb. Per lei dunque ottimismo e pessimismo costituiscono un falso
problema. Si tratta piuttosto di conoscere la più vera verità dell’uomo, di
credere in Dio, di fidarsi di Lui, di avere il coraggio di sperare.
gb. Già.
L'ottimismo è una falsa speranza, usata dai vigliacchi e dagli imbecilli.
La speranza è una virtù, virtus, una scelta eroica dell’anima.
La più alta forma di speranza è la disperazione superata [67].
Io so bene che andando coraggiosamente fino al fondo della notte,
s’incontra un’altra aurora [68].
malb. Così come nell’esperienza di Charles Péguy, la speranza è per
lei un dinamismo essenziale, il nucleo da cui si diparte tutta l’esistenza
della persona. Lei afferma infatti, nel suo Journal,
che mancare di speranza è il più grave fra i peccati.
gb. Speranza: ecco la parola che volevo
scrivere.
Il resto del mondo desidera, brama, rivendica, esige e chiama tutto ciò
sperare, perché non ha né pazienza né amore; vuole solo godere e il godimento
non sa attendere, nel senso proprio del termine: l’attesa del godimento non può
chiamarsi una speranza, sarebbe piuttosto un delirio, un’agonia.
D’altronde il mondo vive troppo velocemente, il mondo non ha più il tempo
di sperare né di amare né di sognare. Sono i poveri che sperano, così come
sono i santi che amano [69].
malb. Mario Pomilio, nel suo Quinto
Evangelio, afferma che il Cristo non ci ha garantito alcuna certezza, ma
che è piuttosto venuto a portarci una speranza. Lei cosa ne pensa?
gb. La speranza è una vittoria, e non c’è
vittoria senza rischio. Colui che spera realmente, che si riposa nella
speranza è un uomo che ritorna da lontano, da molto lontano, che ritorna sano e
salvo da una grande avventura spirituale, in cui avrebbe dovuto morire mille volte.
La speranza è «faire
face», affrontare.
Che m’importa sapere se ho o non ho la speranza?
Mi è sufficiente averne le opere. Se ho le opere della speranza, l’avvenire
lo dirà. L’avvenire dirà se ciascuno dei miei libri è una disperazione superata
[70].
malb. «Faire face, faire
front, tenir bon, se jeter en avant» sono alcune fra le parole chiave per
entrare nel suo universo, signor Bernanos. È evidente che tale atteggiamento di
fronte alla vita si radica in questa sua fede incrollabile, in questo costante
rischio di amare, in questa misteriosa certezza di potere donare, per la fede,
anche ciò che non si ha.
gb. 0 meraviglia! poter far dono di ciò
che non si possiede! o dolce miracolo delle nostre mani vuote![71]
malb. Le sue mani vuote, la sua pagina affollata di cancellature, il
suo cuore, dove ciascuno può entrare quando vuole, la sua fede tutta rischio,
la sua umile e coraggiosa speranza: un Georges Bernanos «à la merci des passants»[72].
Io la vedo così. Ma a lei, come
piacerebbe essere ricordato?
gb. Pensatemi come una specie di
viaggiatore, di avventuriero. Non sono altro, non sono degno d’essere altro e,
se entro in cielo, vorrei che fosse in questa qualità di vagabondo[73].
malb. Di questa sua affascinante “povertà” io mi sono arricchita,
signor Bernanos, e così spero anche chi leggerà questa intervista.
gb. Tutto l’oro del mondo non potrebbe comprare la testimonianza di un uomo
libero[74].
malb. Grazie! Abbiamo bisogno di persone veramente libere e capaci
di dire e testimoniare parole di autentica libertà. Consiglierò a tanti giovani
di leggere i suoi libri. Ancora grazie!
~ Ah! dimenticavo… l’autografo!
~ Rimediamo subito.
* Pubblicato
in "Quaderni di Lingue
e Letterature straniere”, Facoltà di Magistero,
Palermo, 1992.
[1] Cfr. M. A. La Barbera,
Letteratura e dialogo, Centro Stampa
Magistero, Palermo 1991.
[2]
Cfr. M.
Baldini,
Parlar chiaro, parlare oscuro, Laterza,
Bari 1989. Proprio a proposito della critica d’arte, Massimo Baldini non usa
il termine in “ese”, come fa per gli altri linguaggi, e parla di «
linguaggio oscuro della critica d’arte».
[4]
Il termine “cuore”, più volte ripreso in questa intervista, viene usato in
senso biblico, indicando col cuore la parte più intima della persona, quel
centro dove si operano le scelte essenziali (cfr. B.
Pascal).
[5] G. Bernanos,
Journal d’un curé de campagne, in Œuvres romanesques, Gallimard, Paris
1961, p. 1115.
[6]
«Se dobbiamo anche rinunciare a trovare un qualsiasi senso alla parola
“verità”, alla distinzione fra bene e male, fra giusto e ingiusto, non è più
possibile vivere umanamente», scrive Raïssa
Maritain,
Les grandes amitiés, Desclée de
Brouwer, Paris 1988, p. 87.
[7]
“Immaginaria” perché non realmente verificatasi, ma non per questo meno “vera”.
Tutti i dati, fisici, psicologici, spirituali, come quelli letterari, sono
tratti dalla più accreditata bibliografia su Bernanos, finora pubblicata.
[8]
Le affermazioni, che costituiscono le risposte dello scrittore nella
intervista, sono state interamente stralciate dai suoi scritti, indicati nel
riferimento bibliografico.
[9] G. Bernanos, Correspondance, II, Plon, Paris 1971, p.
302.
[10]
«Il buon Dio non ha prescritto che noi fossimo il miele della terra, ma il
sale. Del sale sulla pelle a vivo brucia. Ma impedisce anche di putrefarsi». I
d.,
Journal
d’un curé de campagne, cit., p. 1039.
[11]
«Quelli che io chiamo, evidentemente non sono numerosi. Essi non muteranno le
cose di questo mondo. Ma è per essi, è proprio per essi che io sono nato».
Id.,
Les Grands Cimetières sous la lune,
in Essais et écrits de combat, I,
Bibliothèque de la Pléiade,
Gallimard, Paris 1971, p. 354.
[12]
Vangelo di
Giovanni, 1,14.
[13]
G. Bernanos,
La liberté pour quoi faire?,
Gallimard, Paris 1953, p. 299.
[14] «Je vous donne un livre vivant». G. Bernanos, La Grande Peur des bien‑pensants, in Essais et écrits de combat, cit., p. 45.
[15]
Citazione riportata in R. L.
Bruckberger,
Bernanos vivant, Michel, Paris 1988,
p. 179.
[16] G. Bernanos,
La Grand Peur des bien-pensants, cit., p. 45.
[17]
L’indicazione del nome del caffé, frequentato assiduamente da Bernanos, è
tratta dal testo succitato di R.L. Bruckberger.
[18] G. Bernanos,
Correspondance, II, cit., p. 312.
[19] G. Bernanos,
Les Grands Cimetières sous la lune,
cit., p. 354.
[20] Id.,
Français, si vous saviez,
Gallimard, Paris 1961, p. 18.
[21] Id.,
Le Crépuscule des Vieux, Gallimard,
Paris 1956, p. 35.
[22] Id.,
Scandale de la vérité, in Essais et écrits de combat, I, cit., p.
602.
[23] Id.,
Les Grands Cimetières sous la lune,
cit., p. 366.
[24] Id., La France contre les Robots, Plon, Paris 1970, p.
89.
[25] Id.,
Lettre aux Anglais, Gallimard, Paris
1946, p. 184.
[26] Id.,
Le Crépuscule des Vieux, cit., p. 36.
[27] Id.,
Les Grands Cimetières sous la
lune, cit.,
p. 351.
[28] Id.,
Journal d’un curé de campagne, cit.,
p. 1101.
[29]
I
d., intervista di André Lang
dell’1-01‑1930, riportata nel testo di J.L.
Bernanos,
Georges Bernanos à la merci des passants, Plon,
Paris 1986, p. 209.
[30] Id.,
Les Enfants humiliés, in Essais et écrits de combat, cit., p.
901.
[32] Id.,
Français, si vous saviez, cit., p.
315.
[33]
I
d.,
Correspondance, I, cit., p.162.
[34] Id.,
Correspondance, II, cit., p. 621.
[36] Id.,
Correspondance, II, cit., p. 241.
[37] Id.,
Les Enfants humiliés, cit., p.
868.
[39] Id.,
Les Grands Cimetières sous la lune, cit,
p. 354.
[40] Id.,
Lettre aux Anglais, cit., p. 177.
[41] Id.,
Lettera del 1926, citata in Essais et écrits
de combat, cit., p. 1050.
[42]
Il linguaggio dell’infanzia è uno dei percorsi più idonei per penetrare
nell’universo di Bernanos. In questo volume, vedi cap. I, 1.3,
Lo spirito d’infanzia.
[43]
I
d., Les Grands Cimetières sous la lune, cit., p. 355.
[44] È quanto afferma P. Gille in Le Logos de l’écriture, «Études bernanosiennes», 17, Lettres Modernes Minard, Paris
1984, p. 86.
[45] Id.,
Correspondance, II, cit., p. 445.
[47] Id.,
Journal d’un curé de campagne, cit.,
p. 1258.
[48] Id.,
Jorge de Lima, in Essais et écrits de combat, cit., p.
1314.
[49] Id.,
Dialogues des Carmélites, in Œuvres romanesques, cit., p. 1633.
[50] Id.,
Journal d’un curé de campagne, cit.,
p. 1222.
[51] Id.,
Dialogues des Carmélites, cit., p. 1601.
[52] Id.,
Journal d’un curé de campagne, cit.,
p. 1258.
[53] Id.,
Note tratte dall’Agenda 1948, riportate in A. Béguin, Bernanos par
lui-même, Seuil, Paris 1956, p. 146.
[54] Id.,
Correspondance, I, cit., p. 76.
[55]
L’affermazione citata è di Dom Paul Gordan, riportata da J.L.
Bernanos,
Georges Bernanos, cit., p. 379.
[56] G. Bernanos,
La liberté pour quoi faire?, cit., p.
143.
[57] Id.,
Journal d’un curé de campagne, cit.,
p. 1034.
[59] Id.,
La libertè pour quoi faire?, cit., p. 230.
[60] Id.,
Saint Dominique, in Essais et écrits de combat, cit., p. 4.
[61] Id.,
Nous autres Francais, cit., p. 694.
[62] Id.,
Journal d’un curé campagne, cit., p.
1163.
[63] Id., Correspondance,
II, cit., p. 54.
[64] Id.,
Cécile Sauvage, in Essais et écrits de combat, cit., p.
1104.
[65]
I
d., Correspondance, I, cit., p. 494.
[66] Id.,
La liberté pour quoi faire?, cit., p.
15.
[68] Id.,
Correspondance, II, cit., p. 370.
[69] Id.,
Les Enfants humiliés, cit., p.
899.
[70] Cfr. J.L.
Bernanos, Georges Bernanos,
cit., p. 415.
[71] Id.,
Journal d’un curé de campagne, cit., p. 1170.
[72] Id.,
Les Enfants humiliés, cit., p. 879.
[73] Id.,
Correspondance, I., cit., p. 196.
[74] Id., Jorge de Lima, cit., p. 1316.