31 marzo 2018

MA È PASQUA, SE VUOI...

La Pasqua di Francina

Ma non siete ancora stanchi di discorsi, ragionamenti, insegnamenti, affermazioni e definizioni? Se la primavera ogni anno, l’alba ogni giorno ci ricordano che tutto nella creazione è sempre nuovo, che Dio è Novità assoluta, come accontentarsi del già saputo, del detto e ridetto, ripetuto ancora e sempre?

Avverto nell’intimo un rifiuto a scrivere il “solito” pensierino augurale in occasione della Pasqua. Che fare? Mi si detta dentro un dialogo, un’esperienza di vita vera. Tento di tradurlo in frasi, sperando di non consumarlo. Si potrebbe intitolare: La Pasqua di Francina.


Forse quel giorno Francina non sapeva nulla, eppure tutto sarebbe accaduto. Proprio tutto. Quel che era il suo passato  via d’un colpo, pugno di cenere risucchiato da un’onda di vento. E i colori dell’alba di domani anch’essi già cancellati. Restava quell’istante, un minuscolo inafferrabile istante, ma così eterno…
Avvenne, inatteso… Quasi una folgore, scintilla silenziosa e ardente, un niente che trasformava tutto. Era ormai giunto il momento di vivere.
Anni trascorsi dietro una maschera, tante maschere, valanghe di parole vomitate senza pudore, mutismi avvelenati ad ogni angolo e quell’insipido trascorrere dei giorni. Gli amici, ombre grigiastre disperse nella nebbia di incontri insignificanti; i parenti, cocci dell’era passata senza alcun colore né forma, frammenti scollati di un ieri senza volto.
-          Vai… / corro!
-          Pensaci tu… / sì, tranquillo, me ne occupo io!
-          Sei forse stanca?… / sto benissimo, non preoccuparti!
-          Te lo dicevo io, è colpa tua, non hai capito proprio niente, cara mia!…
Già, Francina ora capiva di non aver mai capito niente. Proprio lei che credeva di aver trovato soluzioni per tutto, che aveva sempre avuto una risposta per ogni domanda, un insegnamento per ogni situazione. Chiare e distinte le sue idee e convinzioni. Sempre precisi i compiti eseguiti; coi doveri poi sempre in credito. Mai un no, sempre sì, sì e ancora sì. Tutto sempre a posto. Quasi perfetto. O almeno, così credeva.
"Brava, bene, sei fantastica, come faremmo senza di te…" Adorabile e instancabile Francina!
Ma chi eri? Oggi che è il velo si è squarciato puoi guardarti finalmente, nella tua nudità. Senza maschere né parole, senza idee né certezze. Ora sai una sola cosa. Tu sei. Esisti. Respiri. Hai un volto. Puoi sceglierti un nome. Il nome vero. Puoi chiamarti oggi, perché sai chi sei. Non c’è più morte ora che sei viva, che sei vera. Oggi il tuo essere dono passa attraverso «il dolce miracolo delle tue mani vuote!» (Georges Bernanos)

Rotolata la pietra del sepolcro, hai lasciato finalmente il bordo della tua tomba. Ci stavi seduta da troppo tempo. Ora non t’importa quel che fai né quel che dici o non dici. Ora sai che ci sei, che sei. Credevi di conoscere Dio, ma solo ora l’hai visto, oltre ogni orizzonte possibile, «Dio al di là di Dio» (Jean Sulivan).
 Solo ora sai che Dio è. E tutto è nuovo.
Nella fossa in cui eri sprofondata ora la luce s’infiltra radiosa e ti fa emergere e tu divieni canto e danza, parola e silenzio.
Dal deserto scaturisce una voce amica, soave e forte insieme: "Questo è il giorno!" Il giorno della verità, il giorno della rinascita, il giorno della veste bianca. Non c’è più posto per i cenci d’occasione, anche se lussuosi. È richiesto l’abito della Festa. Perché è festa attraversare il deserto e ritrovarsi poveri, bisognosi di tutto e di niente.
È festa sperimentare l’abbandono e sapersi soli. Capire che le vittorie sono più pericolose delle sconfitte. Sperimentare che sei libero di «fare di una ferita il punto d’inserzione per le ali». (Jean Sulivan)
Festa è accogliere il sole e la pioggia, le stelle e la notte oscura. E in tutto ritrovarsi. Essere lì dove si è, con quel che si è, come si è, perché, nel mistero della Presenza, qualcun altro finalmente cominci ad essere ciò che veramente è.
Festa è recuperare la vista per mezzo del collirio divino che solo consente di penetrare nel cuore delle cose e delle persone. E con lo sguardo rinnovato riscoprire la bellezza del creato, di un incontro, di un gesto, la meraviglia di altri occhi attraverso cui percepire l’invisibile.
Festa è reimparare ad ascoltare con l’orecchio attento, con la memoria del cuore accesa e vigilante, per gustare la gioia e lo stupore di esistere con chi sta condividendo con noi un po’ di strada.
È questo "fare Pasqua": ritrovarsi svuotati, sventrati, scardinati ma liberi. Aver compiuto il passaggio da un’esistenza intessuta di apparenze e vanità alla gioia dell’istante accolto e vissuto nella semplicità e nell’umiltà, alla meraviglia dell’incontro, in cui spazio e tempo svaniscono, perché quello è un istante-eternità. Dolore o gioia poco importa, giacché «tutto è grazia».
Francina si alza al mattino: la stessa stanza, i libri di ieri, il lavoro tanto amato e odiato. Il suo corpo con i fastidiosi limiti, la sua memoria con i molti vuoti. Saranno gli amici di sempre a chiamare al telefono, il tempo di ogni volta a scorrere fedele, ma tutto è cambiato. Lei è adesso distante e vicinissima, assente e presentissima. Tutto la coinvolge, niente la stravolge. Sperimenta il gusto dell’armonia, della non dualità con se stessa, con gli altri, con le cose, col mondo. Lei è.
È presente a quel che vive, ma insieme vive ogni istante come un andare oltre l’istante, oltre il visibile. Oltre la morte, nel miracolo incarnato, sperimentato, della resurrezione.

E noi, faremo Pasqua come Francina?





  
    

* pubblicato in Comunità in cammino, maggio 2000.

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