Un'indimenticabile non-intervista
Ci sono eventi talmente significativi che, quand’anche
non si realizzano, scavano nella nostra storia personale una traccia
indelebile. Fu così del mio non-incontro
con Ionesco.
Nel settembre del 1985, era stato organizzato a
Palermo un pomeriggio letterario davvero speciale: in una splendida villa
Liberty, saloni suggestivi, vetrate colorate, quadri d’autore, fiori
dappertutto. Ospite d’eccezione: Eugène Ionesco.
Mi era stato chiesto di fare da traduttrice:
un’occasione splendida per stare accanto al grande Ionesco per tutta la serata,
ma insieme un impegno limitante. Il mio sogno infatti era di porgli io delle
domande, di ascoltare le sue risposte e i suoi silenzi. E soprattutto
incontrare il suo sguardo, accogliere il suo sorriso. Non avrei potuto farlo se
fossi stata concentrata a tradurre i suoi dialoghi con i numerosi partecipanti
a quell’incontro tanto atteso; decisi pertanto di rifiutare la proposta,
impegnandomi comunque a trovare qualcuno capace di evitare...
l’incomunicabilità linguistica. E non fu facile, giacché tra i miei studenti
più bravi erano in tanti a voler fare quella straordinaria esperienza. Alla
fine si decise per Marcella, una simpatica ragazza appassionata del teatro
ioneschiano. Insieme ci occupammo del suo abbigliamento; su un delizioso abito
rosso fiammeggiante (per riecheggiare l’indimenticabile pompiere) una splendida
rosa gialla (“come quelle di mio nonno che era asiatico!”). Quanto a me, avevo
nell’armadio un bizzarro camicione con tante sfumature di verde che
richiamavano la pelle del rinoceronte; nulla di più adatto per l’occasione, ma,
ahimé!, mi mancavano le scarpe. E fu un vero disastro, giacché non riuscivo a
trovare quelle giuste, ossia eleganti, adeguate al vestito (un po’ complicato!)
e soprattutto comode; la ricerca durò oltre due giorni. Alla fine dovetti
accontentarmi di un paio che, solo per il colore ovviamente, si adattavano
all’abbigliamento ma non erano per niente comode; “pazienza, mi dissi, tanto
non ci sarà da stare in piedi”.
E così agghindata ed emozionatissima, mi recai
all’incontro, pensando a quel che avrei chiesto a quell’uomo di cui da anni
leggevo e rileggevo gli scritti; m’incuriosiva l’approccio che avrebbe avuto
con quel variopinto gruppo di siciliani; avrebbe capito che oltre gli
intellettuali curiosi c’era anche una prof con una bella compagnia di studenti
che conoscevano ed amavano la sua scrittura?
Arrivati nella villa, per quanto fosse stupenda, il
tempo non passava mai; l’incontro era fissato per le 17,30, ma la pendola (già,
nella casa c’era un’antica e splendida pendola!) scoccò sei colpi e poi
sette... niente. L’atmosfera diveniva stagnante; un anonimo chiacchierio
riempiva le stanze, poi all’improvviso, tanti: “Oh! Ah! NOOO! Ma non è
possibile!?!” si mescolarono in un suono grigiastro e roco: “Ionesco non verrà;
ha avuto un peggioramento al ginocchio e non può affrontare il viaggio”. Ebbi
la sensazione fisica di ciò che si indica come una “burla di pessimo gusto”. Mi
veniva da piangere e da vomitare; non potevo crederci; non avevo nemmeno
considerato la possibilità che Ionesco non sarebbe arrivato a Palermo!?!
Qualche minuto dopo la notizia, i camerieri, per
smorzare l’imbarazzo degli organizzatori, cominciarono a volteggiare con piatti
stracarichi di leccornie siciliane davvero appetitose e tutti scelsero di
consolarsi saporitamente. Ma a me veniva da vomitare. Non sapevo che fare. Guardavo
con intensità il percorso che conduceva alla porta da dove ero entrata e
aspettavo il momento opportuno per scappar via, All’improvviso mi ricordai che
ci avevano parlato di una biblioteca molto particolare, un vero gioiello, che
comunque non poteva essere visitata; mi misi a cercarla; trovai un corridoio,
dove non c’era nessuno e alla fine una porta; girai la maniglia e... rimasi
attonita!
Mi trovavo in un ambiente surreale. Un salone immenso
con pareti altissime, interamente ricoperte di libri. Pian piano, dopo lo
sprofondamento in quell’oceano di carta, mi accorsi di passerelle, scalette,
pedane di legno, che in modo molto irregolare erano collegate su tre piani. Da
giù l’effetto era stupefacente. Mi sembrava di sognare. Cominciai a fare
qualche passo, con discrezione, ma poi tutti quei libri, quel profumo di pagine
antiche mi attirò tanto che non mi resi neppure conto che mi trovavo già nella
prima pedana. Passavo da uno scaffale all’altro, come se fossi dentro una
visione; m’immersi così profondamente in quel luogo da dimenticarmi dove mi
trovavo, l’incontro mancato, gli amici che mangiavano dolcetti e gelati...
salivo, scendevo e quelle pedane, così stranamente congiunte fra loro, mi
facevano sentire in un magico labirinto; non mi era facile ritornare a quel
libro che avevo visto qualche istante prima, perché da un gradino all’altro ero
passata ad un altro livello. Anche se frastornata, tuttavia cominciai a
rendermi conto che muoversi lì sopra non era per niente facile e, da una
passerella all’altra, lo spazio si restringeva; uno dei piedi doveva restare
per aria e non riuscivi a posarlo su niente di stabile; ed ecco che ti trovavi
un po’ più su o un po’ più giù. Davvero complicato muoversi, ecco perché non ci
avevano permesso di entrare; poi, con quelle scarpe, la difficoltà diveniva anche...
dolorosa.
Come fare per scendere? Fu proprio appena presi
coscienza che dovevo ritornare giù, che non vidi più nulla. No, non ero
svenuta! I faretti che illuminavano gli scaffali, le splendide lampade che
rendevano l’ambiente ancora più suggestivo, più niente. Buio assoluto. Rimasi
paralizzata. Forse qualcuno, da fuori vedendo la biblioteca illuminata.
pensando ad una dimenticanza, aveva pensato bene di staccare le luci.
Come scendere giù e trovare l’uscita? Provai a fare
qualche passo, ma i piedi andavano sempre al posto sbagliato; sentivo il
gradino, mi pareva di salire, ma poi giù di nuovo; persi completamente le
coordinate e soprattutto mi resi conto che non avevo molte speranze di arrivare
sul pavimento senza combinare guai.
La prima cosa che feci fu di levarmi le scarpe, che
complicavano ulteriormente la situazione e tentai di scendere: di qua… di là…
in giù… in su. Niente. Mi veniva da piangere. Per non farmi prendere dal
panico, decisi di fermarmi, di sedermi e di calmarmi. Dopo un tempo fuori del
tempo (mi sembrava che la pendola stesse suonando il suo millesimo colpo...) mi
ritrovarono, seduta, sulla pedana del secondo piano e... con le scarpe in mano.
Qualcuno era entrato a cercare qualcosa ed il mio: “ehi!
aiutoooo!”, urlato a squarciagola, lo aveva bloccato al
pavimento. “Ma chi c’è qui dentro?”
Il pomeriggio, nonostante l’assenza fisica di Eugène,
era stato squisitamente ioneschiano.
- l’incontro non c’era stato;
- io non avevo potuto intervistarlo;
- mi ero persa in un labirinto di scale e di libri.
Ma, oltre quel niente, mi era rimasto un “segno”, che
mi fa ripensare sorridendo a quella bizzarra esperienza: non un fiore – come ne
Le Solitaire – né una scala d’argento,
ma un viale di libri e... le scarpe di Ionesco.
° ° °
Ho ripensato spesso a questo episodio, vissuto in un
pomeriggio di giugno in una splendida villa di Palermo. Ma il ricordo, di volta
in volta si è andato arricchendo.
La presenza di Ionesco, ha sempre più preso corpo
nella mia immaginazione, diventando sempre più reale. Sprofondato in una di
quelle magnifiche poltrone, di fronte a me, ogni volta mi sembra di porgli
altre domande e di ascoltare altre e sempre più interessanti risposte.
Insomma, anche se solo nell’immaginazione, l’intervista l’ho fatta,
rifatta, sognata, ri-creata; un’intervista pienamente in linea con la
dimensione onirica della scrittura di Ionesco
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