10 aprile 2018

LE SCARPE DI IONESCO


                            Un'indimenticabile non-intervista   



Ci sono eventi talmente significativi che, quand’anche non si realizzano, scavano nella nostra storia personale una traccia indelebile. Fu così del mio non-incontro con Ionesco.
Nel settembre del 1985, era stato organizzato a Palermo un pomeriggio letterario davvero speciale: in una splendida villa Liberty, saloni suggestivi, vetrate colorate, quadri d’autore, fiori dappertutto. Ospite d’eccezione: Eugène Ionesco. 



 Mi era stato chiesto di fare da traduttrice: un’occasione splendida per stare accanto al grande Ionesco per tutta la serata, ma insieme un impegno limitante. Il mio sogno infatti era di porgli io delle domande, di ascoltare le sue risposte e i suoi silenzi. E soprattutto incontrare il suo sguardo, accogliere il suo sorriso. Non avrei potuto farlo se fossi stata concentrata a tradurre i suoi dialoghi con i numerosi partecipanti a quell’incontro tanto atteso; decisi pertanto di rifiutare la proposta, impegnandomi comunque a trovare qualcuno capace di evitare... l’incomunicabilità linguistica. E non fu facile, giacché tra i miei studenti più bravi erano in tanti a voler fare quella straordinaria esperienza. Alla fine si decise per Marcella, una simpatica ragazza appassionata del teatro ioneschiano. Insieme ci occupammo del suo abbigliamento; su un delizioso abito rosso fiammeggiante (per riecheggiare l’indimenticabile pompiere) una splendida rosa gialla (“come quelle di mio nonno che era asiatico!”). Quanto a me, avevo nell’armadio un bizzarro camicione con tante sfumature di verde che richiamavano la pelle del rinoceronte; nulla di più adatto per l’occasione, ma, ahimé!, mi mancavano le scarpe. E fu un vero disastro, giacché non riuscivo a trovare quelle giuste, ossia eleganti, adeguate al vestito (un po’ complicato!) e soprattutto comode; la ricerca durò oltre due giorni. Alla fine dovetti accontentarmi di un paio che, solo per il colore ovviamente, si adattavano all’abbigliamento ma non erano per niente comode; “pazienza, mi dissi, tanto non ci sarà da stare in piedi”.
E così agghindata ed emozionatissima, mi recai all’incontro, pensando a quel che avrei chiesto a quell’uomo di cui da anni leggevo e rileggevo gli scritti; m’incuriosiva l’approccio che avrebbe avuto con quel variopinto gruppo di siciliani; avrebbe capito che oltre gli intellettuali curiosi c’era anche una prof con una bella compagnia di studenti che conoscevano ed amavano la sua scrittura?
Arrivati nella villa, per quanto fosse stupenda, il tempo non passava mai; l’incontro era fissato per le 17,30, ma la pendola (già, nella casa c’era un’antica e splendida pendola!) scoccò sei colpi e poi sette... niente. L’atmosfera diveniva stagnante; un anonimo chiacchierio riempiva le stanze, poi all’improvviso, tanti: “Oh! Ah! NOOO! Ma non è possibile!?!” si mescolarono in un suono grigiastro e roco: “Ionesco non verrà; ha avuto un peggioramento al ginocchio e non può affrontare il viaggio”. Ebbi la sensazione fisica di ciò che si indica come una “burla di pessimo gusto”. Mi veniva da piangere e da vomitare; non potevo crederci; non avevo nemmeno considerato la possibilità che Ionesco non sarebbe arrivato a Palermo!?!

Qualche minuto dopo la notizia, i camerieri, per smorzare l’imbarazzo degli organizzatori, cominciarono a volteggiare con piatti stracarichi di leccornie siciliane davvero appetitose e tutti scelsero di consolarsi saporitamente. Ma a me veniva da vomitare. Non sapevo che fare. Guardavo con intensità il percorso che conduceva alla porta da dove ero entrata e aspettavo il momento opportuno per scappar via, All’improvviso mi ricordai che ci avevano parlato di una biblioteca molto particolare, un vero gioiello, che comunque non poteva essere visitata; mi misi a cercarla; trovai un corridoio, dove non c’era nessuno e alla fine una porta; girai la maniglia e... rimasi attonita!
Mi trovavo in un ambiente surreale. Un salone immenso con pareti altissime, interamente ricoperte di libri. Pian piano, dopo lo sprofondamento in quell’oceano di carta, mi accorsi di passerelle, scalette, pedane di legno, che in modo molto irregolare erano collegate su tre piani. Da giù l’effetto era stupefacente. Mi sembrava di sognare. Cominciai a fare qualche passo, con discrezione, ma poi tutti quei libri, quel profumo di pagine antiche mi attirò tanto che non mi resi neppure conto che mi trovavo già nella prima pedana. Passavo da uno scaffale all’altro, come se fossi dentro una visione; m’immersi così profondamente in quel luogo da dimenticarmi dove mi trovavo, l’incontro mancato, gli amici che mangiavano dolcetti e gelati... salivo, scendevo e quelle pedane, così stranamente congiunte fra loro, mi facevano sentire in un magico labirinto; non mi era facile ritornare a quel libro che avevo visto qualche istante prima, perché da un gradino all’altro ero passata ad un altro livello. Anche se frastornata, tuttavia cominciai a rendermi conto che muoversi lì sopra non era per niente facile e, da una passerella all’altra, lo spazio si restringeva; uno dei piedi doveva restare per aria e non riuscivi a posarlo su niente di stabile; ed ecco che ti trovavi un po’ più su o un po’ più giù. Davvero complicato muoversi, ecco perché non ci avevano permesso di entrare; poi, con quelle scarpe, la difficoltà diveniva anche... dolorosa.
Come fare per scendere? Fu proprio appena presi coscienza che dovevo ritornare giù, che non vidi più nulla. No, non ero svenuta! I faretti che illuminavano gli scaffali, le splendide lampade che rendevano l’ambiente ancora più suggestivo, più niente. Buio assoluto. Rimasi paralizzata. Forse qualcuno, da fuori vedendo la biblioteca illuminata. pensando ad una dimenticanza, aveva pensato bene di staccare le luci.
Come scendere giù e trovare l’uscita? Provai a fare qualche passo, ma i piedi andavano sempre al posto sbagliato; sentivo il gradino, mi pareva di salire, ma poi giù di nuovo; persi completamente le coordinate e soprattutto mi resi conto che non avevo molte speranze di arrivare sul pavimento senza combinare guai.
La prima cosa che feci fu di levarmi le scarpe, che complicavano ulteriormente la situazione e tentai di scendere: di qua… di là… in giù… in su. Niente. Mi veniva da piangere. Per non farmi prendere dal panico, decisi di fermarmi, di sedermi e di calmarmi. Dopo un tempo fuori del tempo (mi sembrava che la pendola stesse suonando il suo millesimo colpo...) mi ritrovarono, seduta, sulla pedana del secondo piano e... con le scarpe in mano. Qualcuno era entrato a cercare qualcosa ed il mio: “ehi! aiutoooo!”, urlato a squarciagola, lo aveva bloccato al pavimento. “Ma chi c’è qui dentro?”

Il pomeriggio, nonostante l’assenza fisica di Eugène, era stato squisitamente ioneschiano.
-    l’incontro non c’era stato;
-    io non avevo potuto intervistarlo;
-    mi ero persa in un labirinto di scale e di libri.

Ma, oltre quel niente, mi era rimasto un “segno”, che mi fa ripensare sorridendo a quella bizzarra esperienza: non un fiore – come ne Le Solitaire – né una scala d’argento, ma un viale di libri e... le scarpe di Ionesco.

° ° °

Ho ripensato spesso a questo episodio, vissuto in un pomeriggio di giugno in una splendida villa di Palermo. Ma il ricordo, di volta in volta si è andato arricchendo.
La presenza di Ionesco, ha sempre più preso corpo nella mia immaginazione, diventando sempre più reale. Sprofondato in una di quelle magnifiche poltrone, di fronte a me, ogni volta mi sembra di porgli altre domande e di ascoltare altre e sempre più interessanti risposte.
Insomma, anche se solo nell’immaginazione, l’intervista l’ho fatta, rifatta, sognata, ri-creata; un’intervista pienamente in linea con la dimensione onirica della scrittura di Ionesco

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